– di MICHELANGELO INGRASSIA –
Nell’immaginario collettivo alligna ancora oggi l’idea che tra le cose buone fatte da Mussolini e dal regime fascista siano da annoverare una blanda applicazione delle famigerate leggi razziali, una debole attività antisemita e la partecipazione di qualche fanatico in camicia nera alle operazioni di cattura, deportazione e sterminio di cittadini ebrei. Del resto luoghi comuni duri a scomparire anche dal paesaggio della storiografia riducono lo spazio delle responsabilità fasciste nella Shoah ai teorici del razzismo Giovanni Preziosi e Julius Evola, ai firmatari e sostenitori del “Manifesto della Razza”, a riviste e quotidiani come “Il Tevere” e “La Difesa della Razza”, al biennio nero della Repubblica Sociale Italiana. In realtà Mussolini e il regime fascista non solo furono volenterosi complici di Hitler e del nazismo nella guerra contro gli ebrei ma anche consapevoli artefici ed esecutori della persecuzione antiebraica in Italia. Guerra e persecuzione frutti di un voltafaccia verso quella parte di ebrei italiani che avevano sostenuto il fascismo, governato con esso e che erano stati parte di esso sia nella sua versione di movimento sia in quella di regime, per utilizzare le categorie di Renzo De Felice. Guerra e persecuzione dichiarata e praticata perché il Duce aveva necessità di dimostrare fedeltà incondizionata all’alleato nazista dopo quello che era accaduto al tempo della Grande guerra, quando l’Italia ruppe a sorpresa la triplice alleanza stipulata con Germania e Austria; e anche perché essere presenti e attivi nell’annientamento dell’ebraismo avrebbe garantito all’Italia fascista una posizione più forte nel tavolo della pace, che grazie al cielo, agli Alleati e alla Resistenza non fu come Hitler e Mussolini agognavano.
Si tratta di motivazioni che nulla hanno a che vedere con l’ideologia razzista nata e circolata in Europa fin dal Settecento e dalla quale provengono Hitler e il nazismo, come ha ben evidenziato lo storico George L. Mosse. Motivazioni opportunistiche ed egoistiche, dunque, che a maggior ragione pongono la persecuzione e la guerra dei fascisti contro gli ebrei su un piano di viltà oltre che d’indegnità.
Guerra e persecuzione che sono state attuate in due tempi: l’annientamento civile prima della guerra e quello fisico durante la guerra. Se si guarda alla cronologia della legislazione antisemita fascista, infatti, balza evidente la volontà non solo discriminatrice ma anche spersonalizzante delle norme.
L’aggressione fascista inizia con l’Informazione n. 14 del 16 febbraio 1938, redatta personalmente dal Duce, con la quale è manifestata l’intenzione del regime di intervenire contro gli ebrei stranieri rifugiati in Italia e di ridimensionare il ruolo degli ebrei nella vita pubblica italiana.
Il 14 luglio 1938 è pubblicato il “Manifesto della Razza”; il 25 luglio 1938 è emesso il Comunicato del Partito Nazionale Fascista dal titolo “Il fascismo e il problema della razza”; il 5 settembre 1938 è emanato il Decreto Legge contenente “Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola”; il 7 settembre 1938 è pubblicato il Decreto Legge contenente “Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri”; il 6 ottobre 1938 il Gran Consiglio del Fascismo vara la “Dichiarazione sulla razza”; il 17 novembre 1938 è emanato il Decreto Legge contenente “Provvedimenti per la difesa della razza italiana”; il 29 giugno 1939 è emanato il Decreto Legge contenente la “Disciplina dell’esercizio delle professioni da parte dei cittadini di razza ebraica”; il 9 febbraio 1940 l’Unione delle Comunità Israelitiche è ufficialmente informata che tutti gli ebrei italiani dovranno lasciare la Penisola entro pochi anni; il 15 giugno 1940 tutti gli ebrei italiani classificati pericolosi e anche gli ebrei stranieri cittadini di Stati aventi una politica antisemita, sono internati; il 4 settembre 1940 è emanato il decreto Legge che stabilisce il concentramento e l’internamento degli ebrei stranieri; il 6 maggio 1942 è disposta la precettazione civile a scopo di lavoro per gli appartenenti alla razza ebraica.
Con ritmo incalzante, nel volgere di quattro anni, gli ebrei italiani sono espulsi da scuole, Università, posti di lavoro, professioni; privati di servizi, benefici, cariche e incarichi; discriminati, deprivati di ogni diritto civile e sfruttati.
Mentre il regime fascista procede nella spersonalizzazione degli ebrei, edifica i campi di concentramento. Nel settembre 1940 esistevano quindici campi, di cui sette solo per donne, sette per soli uomini, uno per uomini e donne: quello di Ferramonti Tarsia, dove furono costruite pure delle baracche per famiglie. Alla vigilia della caduta del fascismo diventarono trentacinque e il numero degli internati fu di 5.636 uomini e donne. Solo nel campo di Ferramonti Tarsia gli internati furono oltre duemila, di cui 1.500 ebrei.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre, istituita da Mussolini la Repubblica detta di Salò, furono istituiti lager cosiddetti “di transito” a Fossoli, Bolzano, Borgo San Dalmazzo e Trieste. Il Campo di Trieste, ubicato nella Risiera di San Sabba, era l’unico dell’Europa occidentale a essere provvisto di forno crematorio. La funzione di questi lager fu di smistare verso i campi di sterminio gli ebrei italiani; solo i prigionieri più pericolosi erano fucilati sul posto. Con la nascita e l’avvento del fascismo repubblicano, il regime di Salò attuò l’annientamento fisico degli ebrei, già annientati come persone e personalità. Furono 8.948 le vittime identificate. Alla loro cattura deportazione e sterminio presero parte attivamente agenti delle questure e carabinieri, oltre a reparti e squadroni fascisti. Intanto il governo di Salò aveva già emanato il 4 gennaio, il 17 gennaio e il 2 marzo 1944, provvedimenti di confisca e di requisizione di beni mobili e immobili, depositi di conti bancari, opere d’arte, terreni, aziende, fabbricati, titoli, crediti, valori di proprietà degli ebrei. Fu una spoliazione che portò nelle casse della Repubblica Sociale Italiana oltre un miliardo e novecento milioni di lire del tempo. Ancora il 16 aprile 1945 Mussolini decretava la confisca di tutti i beni posseduti dall’Unione delle comunità ebraiche e di tutte le istituzioni ebraiche di assistenza e beneficenza.
La storia terrificante della persecuzione fascista degli ebrei è stata ricostruita da Liliana Picciotto, con il volume “L’alba ci colse come un tradimento” (Mondadori, 2010), da Michele Sarfatti con il libro “Le leggi antiebraiche spiegate agli italiani” (Einaudi, 2002), da Fabio Amodeo e Mario Josè Cereghino con il saggio “Top secret. L’Italia della Shoah. Gli ebrei il fascismo e la persecuzione nazista” (Editoriale FVG, 2008). Si tratta di opere decisive in un ambito di ricerca storica che merita di essere approfondito. Molto può fare, nell’ampliamento degli studi, la storiografia locale.
Il crimine della soluzione finale è stato commesso anche dai fascisti italiani. Ammetterlo significa non solo fare i conti con la storia ma anche prendere atto che gli italiani non sono immuni da certi virus culturali e comportamentali pericolosamente latenti nel nostro tempo.
n°: 10 del 28/01/2021