– di EDOARDO CRISAFULLI –
Come debellare iI virus malefico del terrorismo? Due le direttrici: egemonia culturale, a livello planetario, della società aperta (non già per imporre un pensiero unico, bensì per piantare il seme della dinamica libertaria e democratica che consenta ai popoli e alle nazioni di decidere il proprio destino); bonifica dei terreni in cui proliferano le spore dell’odio e dell’incitazione alla lotta armata. La violenza di matrice religiosa verrà estirpata solo se agiremo con intelligenza in tre ambiti: culturale, politico ed economico-sociale. A tal fine dovremmo: (a) dare impulso al dialogo interreligioso, affinché si accetti il libero pensiero e prevalga ovunque la lettura modernista dei testi sacri; b) penalizzare i governi che fomentano o tollerano l’estremismo; c) incoraggiare le politiche di cooperazione allo sviluppo che creino benessere diffuso nei Paesi infettati dal radicalismo.
La prevenzione è infinitamente più efficace della repressione. Quest’ultima, arrivando a cose fatte, testimonia sempre il fallimento della politica. Coglieva nel segno uno dei più fortunati slogan del New Labour: “severi con il crimine, e severi con le cause del crimine”. Nessuno ha mai sconfitto la malaria schiacciando migliaia di zanzare – queste proliferano negli acquitrini, mica nascono per abiogenesi. Eppure se spostiamo l’attenzione sulla bonifica delle paludi, talora veniamo accusati di giustificare la malaria! E’, questo, un grande equivoco: non è affatto vero che tirando in ballo le circostanze materiali o il contesto politico si deresponsabilizzano i terroristi. Si tratta di spezzare il circolo vizioso fra un’ideologia perversa (la miccia) e una situazione economico-sociale disastrosa (l’esplosivo): la detonazione avviene per via della connessione fra quei due elementi. Questa convinzione non fa di chi la sostiene né un buonista suicida, né un fiancheggiatore del nemico.
Purtroppo c’è chi insiste nel dire – contro ogni logica, e contro ogni evidenza storica – che il brodo di coltura del terrorismo di matrice islamica è… nell’Islam in quanto tale. In Occidente la demonizzazione delle religioni vanta una tradizione blasonata, per ragioni comprensibilissime. Se Giordano Bruno viene arso vivo, me la prendo anzitutto con la Chiesa e con i preti, tuttavia si insinua in me anche il dubbio che forse John Lennon aveva ragione, e cioè che un mondo senza giudaismo, cristianesimo e islam sarebbe più pacifico. Il monoteismo non si è forse rivelato storicamente la radice di ogni fanatismo? In fondo la Chiesa e i preti applicavano solo i dettami biblici… E gli islamisti violenti non mettono forse in pratica i precetti della loro religione? Il paradosso è che, ragionando così, non solo si dà ragione ai terroristi (nel senso che si legittima la loro lettura aberrante dei testi sacri), ma si finisce, questa volta sì, per sminuire le responsabilità dei terroristi, figli inconsapevoli della loro cultura.
Nessuna cultura, per quanto straordinaria, è immune da pregiudizi e stereotipi. Che l’epoca dei Lumi abbia foggiato il nostro modo di pensare è senz’altro un bene; d’altro canto però il laicismo di filiazione illuminista ci rende miopi. Oriana Fallaci, spesso strattonata a sproposito, viene da quel mondo lì: la destra illiberale si è appropriata di una scrittrice libertaria e secolare a tutto tondo. C’è una perfetta consonanza ideologica fra le invettive anti islamiche di Oriana e le stoccate di Voltaire contro gli ebrei. Gli illuministi si giustificano dicendo che non si può essere tolleranti con gli intolleranti, ovvero con gli zeloti. Certo è che fra i tanti meriti dell’illuminismo non c’è quello della profondità prospettica sulle tradizioni religiose. Intellettuali laici di grande caratura sostengono la seguente tesi di ascendenza volterriana: il terrorismo di matrice islamica sarà sconfitto il giorno in cui il mondo intero riconoscerà che le sacre scritture delle tre religioni abramitiche altro non sono che testi epici. Convincete i religiosi che la Rivelazione biblica e coranica è l’equivalente di un racconto mitologico, e il furore ideologico scomparirà per incanto dalla faccia della terra. Peccato che nella storia reale né l’uomo nuovo di fede illuministica, né l’uomo nuovo forgiato dai regimi comunisti abbiano dato ottime prove di sé in fatto di tolleranza – nonostante il loro conclamato teismo, agnosticismo o ateismo. Il successo virale delle religioni politiche del Novecento – Nazismo e Bolscevismo – ha dimostrato che l’anelito all’assoluto è radicato nell’animo umano. Nelle condizioni propizie, il fuoco del fanatismo divampa anche in società secolarizzate, laiche, qual era la Germania degli anni Trenta del Novecento. Si dice spesso, a ragione, che l’Islam non ha avuto l’illuminismo. Beh, la Germania ha partorito Kant, cionondimeno milioni di cristiani tedeschi, dal 1933 al 1945, erano intruppati sotto le insegne con la croce uncinata, manifestando un fanatismo criminale non dissimile da quello dello Stato islamico.
Siamo tornati al nocciolo della questione: il fenomeno ha due facce: una culturale-ideologica, l’altra materiale. Io, che rivendico con orgoglio la mia matrice liberalsocialista, non posso limitarmi al culto dei diritti civili e delle libertà. Quel pizzico di marxismo che circola ancora nelle mie vene mi induce a pensare che il terrorismo non si estirpa indottrinando potenziali terroristi emarginati o disoccupati, nelle nostre periferie o nei loro Paesi d’origine. Affinché gli altri la pensino come noi, bisogna anzitutto che vivano come noi. Non è, questa, una soluzione magica, miracolosa. Tuttavia l’eliminazione di squilibri e ingiustizie renderà la vita molto dura ai predicatori dell’odio e delle guerre di annientamento. Viene in mente la stupenda novella del Verga, “La libertà”: che senso avrebbe avuto indottrinare i cafoni meridionali sulla bellezza dei diritti e delle libertà borghesi mentre rimanevano nullatenenti, semianalfabeti, morti di fame perché braccianti a giornata (nonché, lo si sarebbe visto di lì a poco, carne da cannone per le guerre)? La libertà l’hanno compresa davvero solo quando hanno cominciato a respirarla, a viverla: allorché sono diventati a pieno titolo cittadini di uno Stato democratico – liberi ed eguali, diremmo oggi. C’è voluto quasi un secolo.
Intendiamoci: nessun essere umano può essere ridotto a una rotellina o a un algoritmo della società in cui vive. Affermo però un fatto evidente: i terroristi non vengono dalla Luna. A sentire coloro che demonizzano l’islam, pare che un musulmano qualsiasi, vivendo come i suoi correligionari in una bolla di sapone, un infausto giorno legge il Corano e il giorno dopo, acquistata un’arma, si mette a sparare all’impazzata contro gli infedeli. Poiché il dialogo fra destra e sinistra è diventato una rarità, metto da parte il mio imprinting marxista e cito un Papa molto stimato dai conservatori: Giovanni Paolo II. Proviamo a ragionare con le sue categorie. Per certi aspetti, la dottrina sociale della Chiesa ha una marcia in più rispetto al marxismo, che sulle libertà è deboluccio.
Nell’udienza generale del 25 agosto 1999, Giovanni Paolo II spiega i punti essenziali della sua Enciclica Sollicitudo Rei Socialis del 1987. Premesso che le “vere responsabilità” dell’azione malvagia “restano ovviamente delle persone, dato che la struttura sociale in quanto tale non è soggetto di atti morali”, non c’è dubbio sul fatto che esistano in questo mondo strutture del peccato, fonte di tentazione. “Esiste una spaventosa forza di attrazione del male che fa giudicare ‘normali’ e ‘inevitabili’ molti atteggiamenti. Il male si accresce e preme con effetti devastanti sulle coscienze, che rimangono disorientate e non sono neppure in grado di discernere. Se si pensa alle strutture di peccato che frenano lo sviluppo dei popoli più svantaggiati sotto il profilo economico e politico, verrebbe quasi da arrendersi di fronte a un male morale che sembra ineluttabile.” Ma, e qui c’è il raggio di luce, le strutture del male “possono essere vinte e sostituite da ‘strutture del bene’”. Nella sua Enciclica, Woytila ragiona laicamente. Le strutture del peccato sono sia ‘ideali’ o immateriali (le ideologie che esaltano la violenza), sia materiali (il sottosviluppo, l’analfabetismo, la povertà, la disoccupazione, il commercio delle armi, che conduce fatalmente alle guerre). Il che è esattamente ciò che sosteniamo da sempre noi liberalsocialisti: il terrorismo diventa un fenomeno sociale nel momento in cui teorie diaboliche riescono a innestarsi su un sostrato sociale predisposto ad accoglierle. Non è un caso che il bolscevismo abbia attecchito in una Russia prostrata dall’ingiustizia sociale e dalla guerra, e che il nazismo si sia affermato durante la grande depressione che mise in ginocchio la Germania.
Non lo si ripeterà mai abbastanza. Per sconfiggere la teoria rivoluzionaria-nichilista di turno dobbiamo intervenire simultaneamente nella sfera culturale e sulle condizioni concrete che la rendono attrattiva agli occhi dei giovani disperati, facili prede del millenarismo. La via maestra per debellare il terrorismo è quella che predicano i partiti socialisti europei: risposta militare, visto che il bubbone ormai è infetto, unita a una massiccia opera di prevenzione politica e sociale. L’umanità è una sola comunità le cui componenti devono trovare un modus vivendi equo e armonico. Sostituiamo le strutture del male con quelle del bene! È, questa, l’utopia concreta disegnata da Woytila: liberazione dal sottosviluppo, superamento degli egoismi sociali e nazionali, etica della solidarietà fra individui e popoli. Ecco cosa occorre. Altro che demonizzazione dell’islam, chiusura dei porti e costruzione di muri: dobbiamo gettare ponti fra culture e civiltà diverse. Ficchiamocelo in testa: la solidarietà è una virtù civica e politica apparentata con una virtù teologale: la carità. Una virtù, questa, saggia perché foriera di pace e armonia.
*Il presente articolo è in sequenza con quello pubblicato, dallo stesso autore, su questo blog il giorno 16 novembre.