-di PIERLUIGI PIETRICOLA–
Ho pochissime convinzioni nella vita, ma una inscalfibile: se Italo Calvino avesse scritto oggi le sue Lezioni americane, non vi sarebbe stata pagina di quel libro senza almeno un riferimento ad Erri De Luca. Scrittore dalla lingua precisa, che aderisce ai fatti senza lasciarsi sopraffare dalla realtà, che predilige la sintesi per far sì che il lettore possa avere parte attiva nel flusso narrativo, Erri De Luca è una lezione di eleganza e sobrietà nel panorama della letteratura internazionale.
Le sue opere, apprezzatissime e raffinate, rappresentano un faro per chi decide di incamminarsi sulla via della scrittura.
Ma quale il segreto di uno stile così limpido, pieno di luce anche quando decide di indagare le tenebre? Forse risiede nella poliglossia di Erri De Luca. Oppure nella sua capacità di “lasciarsi cuocere dalla vita, lasciarsi cadere – come un frutto – senza guardare dove”, per usare le parole di Giorgio Agamben? Oppure, come sostiene sempre Agamben, il segreto di uno scrittore sta “tutto nello spazio bianco che separa i quaderni dal libro”?
Per scoprirlo non potevo far altro che conversare direttamente con Erri De Luca. Una chiacchierata preziosa, generosa, da sillabare fra sé per rischiarare ciò che di buio alberga nell’animo di ciascuno di noi.
Un dono della sua scrittura è la precisione, la chiarezza, la terminologia appropriata. Secondo quanto detto da Calvino, ciò che avrebbe dovuto caratterizzare lo stile letterario del nuovo millennio. Questo risultato, lei lo raggiunge con un lungo lavoro di cesello, oppure è spontaneo e corregge pochissimo ciò che scrive?
Non mi attribuisco uno stile, piuttosto una necessaria precisione di vocabolario che si adatta ai personaggi delle storie. Nella stesura che faccio a penna su quaderno, seguo un flusso continuo che poi non modifico. Dunque posso dire che si tratta di una scrittura spontanea che non viene poi rielaborata.
Scrittura come continuo esercizio di libertà e superamento di confini e imposizioni di ogni genere. La letteratura è questo anche a prescindere dalle intenzioni dell’autore?
Da lettore so che la letteratura mi tiene compagnia e mi coinvolge allargando i miei pensieri e il mio vocabolario. So che in letteratura non esiste l’indescrivibile, perché è capace di descrivere tutto quello che non potevo neanche immaginare. Quando sento dire : non ci sono parole, so che invece ci sono e bisogna cercarle per trovarle. Per me lettore leggere letteratura è un approfondimento dell’umano.
Per scrivere occorre essere sgomberi e divenire pronti ad accogliere storie. Lei come ottiene questo svuotamento e in che modo sente sorgere dentro di sé una storia e come comprende che è quella giusta da raccontare?
L’innesco è un improvviso ricordo, un fatto, una persona affiora dalla nebbia come succede in sogno. Ma il sogno svanisce, mentre il ricordo lo posso trattenere scrivendolo. Così inizia uno svolgimento che avvia altri ricordi, altri episodi. Non invento personaggi, approfitto di persone incontrate, di vita svolta.
Quando intuisce che una storia che sta raccontando sta prendendo il giusto andamento narrativo?
Non lo so, mi accorgo solo che di colpo non c’è altro da aggiungere. La fine, come l’inizio, mi sorprende. La durata della storia non c’entra, può essere di poche pagine.
Lei è d’accordo con la vulgata che recita, più o meno, che per scrivere bene occorre aver frequentato molto i classici?
Io credo che uno scrittore debba essere un lettore, avere letto un camion di libri. Io mi definisco un lettore che scrive.
Lei è un raffinatissimo poliglotta. In che modo la conoscenza di tante lingue la fa sentire vicino o distante dall’Italiano, la sua lingua padre?
Ho studiato qualche lingua per ammirazione di qualche autore che volevo raggiungere nella sua tana. Ho invece studiato l’Ebraico antico per leggere il formato originale della scrittura sacra.
Provare a tradurre in italiano aiuta a migliorare la proprietà di linguaggio per lo sforzo di aderire poi fedelmente al testo di partenza in altra lingua. È strano ma è così per me: il mio italiano è migliorato studiando altre lingue, altri vocabolari.
Vengo dal liceo classico e l’obbligo di latino e greco mi ha avviato a una dimestichezza con altre grammatiche, alfabeti.
Qual è la metodologia che lei ha messo a punto per apprendere una lingua straniera?
Si parte umilmente da una grammatica e si vede se ci si capisce qualcosa e se l’attrazione continua. Non ho fatto ricorso a insegnanti, per mia ostinazione di autodidatta. Siccome lo scopo è leggere, non mi dedico alla pronuncia utile alla conversazione.
Si sente immerso nelle storie che racconta, oppure se ne distanzia quasi subito?
Sono molto concentrato quando seguo il flusso di un racconto. Dopo che l’ho finito lo ricopio sempre su quaderno. Questo mi aiuta a capire se mi piace ancora e mi fa aggiungere qualche altro ricordo o digressione. Fino alla consegna all’editore sono dentro la storia. Poi sulle bozze stampate intervengo quasi niente.
Letteratura e impegno sociale: secondo lei questo rapporto è indispensabile per uno scrittore? Perché, secondo lei, molti scrittori non hanno mostrato un esplicito interesse verso un miglioramento della società rinchiudendosi nella nota torre d’avorio?
Faccio l’esempio del calzolaio: prima di tutto deve fare bene le sue scarpe, poi se vuole contribuire alla società dovrebbe impegnarsi perché a tutti sia garantito andare in giro con un buon paio di calzature. Così uno scrittore: prima scriva bene le sue storie, poi, se crede e se vuole, s’impegni perché tutti, muti e analfabeti compresi, possano avere accesso alla libertà di parola. Nel nostro ordinamento questo diritto è garantito, ma spesso ci sono voci che gridano ma non sono ascoltate. Il mio impegno di cittadino è che le voci, le parole, le ragioni di comunità in lotta per farsi rispettare, siano ascoltate. Il mio ambito è la parola, il mio impegno civile è che sia garantita a tutti.