Genova città aperta?

– di MAURIZIO FANTONI MINNELLA –

Mai come a Genova si racconta la città come un sovrapporsi di quinte urbane che dalla linea di costa salgono fino ai vertici collinari.

Mai come a Genova assistiamo all’infittirsi di un sottobosco culturale che solo in alcuni casi (troppo pochi per una metropoli dalle enormi potenzialità creative), diventa cultura nel senso pieno che abitualmente diamo a questa parola.

Mai come a Genova realtà culturali d’eccellenza come, ad esempio, il “Festival Internazionale di Poesia” (giunto al ventiseiesimo anno), vengono sistematicamente ignorate dalla stampa nazionale.

Mai come a Genova si è potuto constatare lo sfratto dalle loro prestigiose sedi originarie di proprietà civiche, di importanti musei cittadini (peraltro di respiro nazionale), come l’Americanistico Lunardi a Villa Gruber, o in tempi recenti, del Luzzati a Porta Siberia, adducendo non solo motivazioni risibili, ma sostituendovi altre funzioni (peraltro facilmente dislocabili altrove) che nulla avevano a che fare con la cultura intesa come bene di tutti i cittadini.

Mai come a Genova abbiamo assistito, senza parole, alla messa a ferro e a fuoco della città e al delirio di stato, durante i giorni del G8, al cupo dilagare dei torrenti in piena, con i morti nelle strade o trascinati via dall’acqua, senza che per questo, qualcosa sia davvero cambiato. E nello Stato e nelle istituzioni cittadine.

Mai come a Genova abbiamo saputo cogliere i segni allarmanti di una trasformazione epocale che è stata politica, sociale, tecnologica e ambientale. Le fabbriche, l’acciaio il porto, la classe operaia, le colline, gli arenili, i quartieri satelliti…Tutto è stato ripensato, riprogettato per un futuro di cui è difficile intravedere le linee guida.

Mai come a Genova, tuttavia, si sono viste persone educate e in giacca e cravatta che, in un immenso bunker ricavato da un vecchio mercato alimentare in un quartiere di Ponente, sono impegnate a tenere viva la memoria storica e politica della dottrina marxista-leninista. Nel nome dell’internazionalismo proletario.

Mai come a Genova la caduta di un ponte che collega non solo i poli opposti della città, ma il Mediterraneo con il Nord Europa, ha generato un tale sgomento da formulare in breve tempo l’idea di una possibile (anche solo simbolica) rinascita della città a partire dal nuovo ponte, la cui realizzazione a tempo di record ha dimostrato, innanzitutto, che aggirando l’iter odioso delle burocrazie che quotidianamente affliggono questo paese, innalzando muri invisibili tra i cittadini e le istituzioni, è possibile vedere realizzati nuovi progetti per le città.

Mai come a Genova, accade che un sindaco, Marco Bucci, in questo caso, definisca la sua città “aperta, inclusiva”, a pagina 6 dell’inserto del Corriere Il bello dell’Italia del 26 ottobre 2020, dopo avere autorizzato la chiusura dei caruggi del centro storico mediante cancelli di ferro, con il risultato nefasto di “privatizzare” impunemente il normale spazio pubblico. Infatti, le chiavi dei cancelli e la libertà d’accesso sono riservate solamente agli abitanti degli stessi vicoli che spesso utilizzano impropriamente come depositi personali di merci o di rifiuti temporanei. Si dirà, politicamente, che tale iniquo provvedimento era già stato attuato dalla giunta precedente di centro-sinistra e ciò corrisponde al vero. Infatti, di fronte alla messa in campo della “sicurezza”, ostentata come un feticcio e da intendere risibilmente come possibile deterrente contro la presenza dello spaccio (come se tale disposizione abbia risolto il problema della droga nei vicoli!), non vi è più differenza tra destra e sinistra. Ma qui non si tratta di questioni relative ai partiti politici che si spartiscono di volta in volta ruoli e poteri, ma di una ben più alta questione di civiltà urbana, ossia di rispetto, non solo per la libertà di tutti i cittadini e i visitatori di potersi muovere a piacimento in uno dei labirinti urbani più vasti e affascinanti d’Europa e del mondo, ma per difendere il diritto alla completa fruibilità di spazi e di luoghi che per natura e destinazione sono da ritenere pubblici, quindi, di tutti. Inoltre, il posizionamento arbitrario di oltre 40 cancelli corrispondenti a venti caruggi, ha come inevitabile effetto quello di interrompere bruscamente percorsi naturali presenti nel reticolo medievale, che in taluni casi, collegano la città vecchia (come nel caso di via Cairoli e di via Balbi con le rispettive strade in salita, oggi irrimediabilmente chiuse) alla cosiddetta città alta, antichi e suggestivi percorsi (tutti annoverabili tra le cosiddette creuze) tra le abitazioni, necessari per raggiungere parti di città (un tempo adibiti a  orti o sedi di antichi monasteri e ville di campagna) e altresì destinati a conoscere, a partire dal XX° secolo, un imponente sviluppo urbano.

Mi piace, allora, concludere, questa breve disamina dei paradossi di una città che conosco bene e che amo, citando, ancora una volta l’architetto Giancarlo De Carlo che in La città e il porto, nel lontano 1992 scriveva:… Quanto a Genova, infine, continuo a credere che sia una delle più belle città del mondo. Mi affascina la sua esplicita diversità e per la forza di immaginazione. Sono persuaso che in breve tempo riuscirà ad assorbire le ingiurie architettoniche che le sono state inferte..…

Anche quelle civiche, vorremmo aggiungere, dettate dalla stupidità di chi ha deliberatamente smarrito il significato più profondo della civitas che è innanzitutto, rispetto per i diritti della collettività.                                

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