-di PIERLUIGI PIETRICOLA–
“Io in genere ho sempre realizzato singoli nella mia carriera. Mai dischi. Con la nuova etichetta con cui lavoro, la Alfredo Music, mi sono convinto per il disco”.
È iniziata così la nostra conversazione, di qualche mese fa, con Piji Siciliani. Musicista di talento, con moltissime collaborazioni all’attivo – Fiorello e Renzo Arbore sono solo due fra i tanti esempi. Vuoi per l’omonimia, vuoi per una serie di gusti affini, la chiacchierata con Piji Siciliani ha spaziato a lungo raggio nel campo dell’arte musicale, riflettendo anche sul futuro post pandemia.
Cosa c’è che non va oggi nella musica italiana?
Mi pare che, adesso, ci sia scarsa attenzione per l’album. Ovviamente non è un discorso che vale per tutti. Se sei in “Champions” le cose cambiano. Il punto, a mio avviso, è che è venuta a mancare la giusta predisposizione – culturale e di tempo – per la fruizione di un intero album.
Le case discografiche hanno delle responsabilità?
Il mondo discografico ha subito una rivoluzione a mio parere negativa a causa della rete. Man mano i venditori di dischi sono andati scomparendo. Ne sopravvivono pochissimi ormai, e sono fra i più coraggiosi. Insieme con loro, anche i supporti – cd, vinili – sono scomparsi o stanno scomparendo sempre di più. Ovviamente questo non ha nulla a che vedere con la qualità del lavoro. Ma occorrerà un regolamento e fissare più tutele per non dar vita ad un contesto professionale ed economico anarchico, sprovvisto di giuste leggi.
Ora qual è l’indice di gradimento di un brano musicale?
Dal punto di vista delle vendite ci si basa molto sui downloads. Ma il guadagno vero c’è quando al disco seguono i concerti live. Adesso anche questo aspetto si è venuta a modificare dopo la pandemia.
Timori per il futuro dello spettacolo dal vivo?
Dal punto di vista sanitario, per la tranquillità di tutti, è necessario che le cose si facciano in sicurezza. Ripartire, come stiamo facendo, è necessario. Ma è altrettanto necessario farlo senza mettere nessuno in pericolo. Si va ad un concerto per condividere momenti, sensazioni. Per adesso si dovrà farlo con alcune cautele. Pian piano ci auguriamo tutti di riprendere la normalità di un tempo.
Come hai vissuto il periodo di quarantena?
In genere io, come chiunque faccia il mio lavoro, trascorro molti giorni a casa. Quindi ho approfittato di quelle settimane per dedicarmi alla creazione. Non ho patito molto la quarantena obbligatoria, per fortuna. Noi autori lavoriamo tantissimo stando in casa. Mi sono nutrito di arte e sono stato bene.
Hai lavorato con tantissimi artisti. Di chi hai un ricordo straordinario?
Ho lavorato con tanti. Ho avuto la fortuna fin qui di collaborare con veri giganti e di questo sono molto grato. Con Fiorello in Edicola Fiore, nonostante gli orari in cui si andava in onda, ovvero l’alba (di solito a quell’ora devo ancora andare a dormire) era sempre una grande festa e il merito era tutto di Rosario, mattatore in onda e fuori onda, milioni di risate ogni volta che nasceva il sole. E poi mi capita di collaborare ogni tanto con Renzo Arbore, maestro d’arte e di energia: sempre entusiasta, gioviale, infonde una passione incredibile. Ho stupendi ricordi anche di tante altre belle collaborazioni, da Sergio Caputo a Gianmaria Testa, da Massimiliano Vado a Micaela Andreozzi, da Simone Colombari a Tiziana Foschi, da Simona Molinari a Max Paiella, da Giuseppe Zeno a Silvia Salemi, ma fare l’elenco completo sarebbe impossibile. Mi trovo sempre bene con i miei colleghi. Non ce n’è mai stato uno col quale abbiamo avuto il benché minimo screzio.
Progetti futuri?
La mia vita artistica ha ancora tante tappe da fare. Spero di riuscire a realizzarle tutte. Farò del mio meglio.
A chi ti ispiri per il tuo lavoro?
Di modelli ne ho tantissimi, e non solo musicali. Per esempio Giorgio Gaber e Woody Allen. Ma anche Fellini, De Gregori, Paolo Conte, Django Reinhardt. E come dimenticare chi mi ha insegnato a suonare la chitarra: Luca Chiaraluce e Roberto Nannetti? Impossibile pensare la mia vita professionale senza di loro.