Palestinesi: resistenza come pratica quotidiana

– di MAURIZIO FANTONI MINNELLA –

Le nazioni liberali non sono create e definite da “sangue e terra” o da un decreto divino, o da una storia che inizia agli arbori del tempo e non si è mai interrotta. Il sangue è sempre misto; la geografia cambia nel corso degli anni; Dio non c’entra, e la storia s’intreccia con altre storie…

Michael Walzer

Mentre si prepara la grande manifestazione nazionale in difesa del popolo palestinese contro l’annunciata annessione di circa il 30% dei territori della Cisgiordania, comprese l a Valle del Giordano e le colonie ebraiche, già dichiarate illegali dell’ONU, da parte dello Stato di Israele, scoppia una polemica tra il presidente provinciale dell’Anpi Roberto Cenati e Yousef Salman, Presidente della Comunità Palestinese di Roma e del Lazio, sulla base di talune dichiarazioni fatte dallo stesso Cenati nel corso di un’intervista radiofonica nella trasmissione Pagine ebraiche.
Mentre taluni istituzioni come l’Unione europea e le Nazioni Unite (pur senza unanimità e con talune ambiguità) e persino l’insieme degli Stati Arabi, condannano in maniera unanime questo tentativo in atto di aggressione alla libertà del Popolo palestinese che vanificherebbe ulteriormente la speranza di un futuro stato di Palestina, sciaguratamente voluto dal Presidente americano Donald Trump (atto finale di una pax americana, e dunque, unilaterale), il nostro Cenati, forte di un comprovato antifascismo e spirito democratico, sostiene, con sprezzante ipocrisia, che la libertà dei palestinesi non essendo la sola ad essere continuamente evocata (ve ne sono infatti molte altre che si vorrebbero ottenere!), non è poi così necessario e utile occuparsene o meglio rimarcarne l’assoluta importanza in quanto emergenza storica e insieme di attualità politica. In altre parole, secondo quanto affermato dallo stesso, “la Palestina non è l’ombelico del mondo”.

Una tattica, quella messa in atto dal dirigente Anpi, con il solo scopo (che andrebbe letto in chiave filosionista), di aggirare l’ostacolo di una reale presa di coscienza della politica oppressiva messa in atto dal governo di Netanyahu sia come volontà di onnipotenza sia per nascondere le sue vicende giudiziarie sotto una coltre di preteso nazionalismo, la quale risulterebbe scomoda rispetto alla forte componente filo-sionista presente sia in Anpi che nel Partito Democratico. Inoltre il suddetto dirigente ricalca spavaldamente un altro luogo comune agitato da coloro che sotto varie sigle e bandiere sottovalutano o addirittura ignorano la tragedia palestinese che invece dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti. Parliamo ancora una volta del dualismo antisionismo-antisemitismo, questione di non facile risoluzione. Proprio in virtù dell’uso strumentale di chi, come Cenati, se ne serve come foglia di fico per coprire le vergogne di Israele e al tempo stesso per lanciare l’anatema contro coloro che, in maniera trasparente, si schierano contro la politica estremista e ultranazionalista del governo israeliano, peraltro avversata da una nutrita minoranza di cittadini d’Israele, tra cui molti scrittori, spesso presenti al fianco dei palestinesi nelle manifestazioni contro l’occupazione delle case e dei territori.

Che dire poi dell’altro luogo comune, ostentato da Cenati, quello del 25 aprile in difesa del diritto della Brigata ebraica di manifestare nel corteo. Diritto che verrebbe negato da un’”orda estremista”, un gruppetto di facinorosi (tra cui il famigerato Francesco Giordano, identificato in piazza San Babila, nonostante il viso coperto, e altrimenti noto per la condanna in associazione in banda armata per l’omicidio di Walter Tobagi!?) inneggianti frasi e slogan antisemiti sullo sfondo di Piazza San Babila. Come a voler affermare: avete visto, finalmente, chi sono i nemici d’Israele? Quando, invece, basterebbe semplicemente capire che quel tripudio di bandiere israeliane in corteo ogni 25 aprile, confuse con quelle della stessa brigata (a renderle apparentemente simili, e in realtà non lo sono, è la presenza della stella di David), risuona ogni volta come una vera provocazione, in quanto esse non hanno nulla a che fare con la Brigata antifascista che agì, ovviamente, prima della stessa fondazione dello Stato di Israele (1948). Ciò che, in realtà, emerge, ogni qualvolta si procede ad un confronto tra le parti politiche, è la mancanza di spirito critico e di obiettività, che vedono le diverse associazioni ebraiche italiane letteralmente appiattite sulle attuali politiche israeliane, nel nome di una presunta sacralità dello Stato Ebraico, la cui sopravvivenza, a loro dire, richiederebbero solidarietà, fedeltà e fermezza perfino nel sostenere posizioni divenute, nel tempo, insostenibili.

A conclusione del suo ragionamento, Cenati non solo suggerisce di non partecipare alla manifestazione filo-palestinese di sabato 27 giugno, accusata in anticipo di presunto antisemitismo, ma, spingendosi oltre, finisce per spaccare deliberatamente l’Anpi (associazione dalla lunga e gloriosa storia), nell’isolare, ad esempio, il gruppo romano per la scelta, al pari di altri, di aderire alla manifestazione. Antisemiti anche loro? Non lo crediamo affatto.

Alla luce di quanto detto fino ad ora, sembra piuttosto emergere, fra tante dichiarazioni di democrazia (Israele come il solo stato democratico del Medioriente…!) un solo ed unico atto antidemocratico, ossia quello di impedire a chicchessia il diritto di mettere duramente sotto accusa (con argomentazioni serie) le scelte politiche israeliane degli ultimi 20 anni (basate sul binomio discriminazione-repressione), e di smascherare il ricatto sapientemente orchestrato dell’antisemitismo, appunto. Come a dire: mai più nemici d’Israele dopo la Shoah!…

Tra le diverse argomentazioni portate da Yousef Salman nella lettera in risposta a Cenati, vi è principalmente quella relativa all’antisemitismo. “Non siamo antisemiti, sostiene il dirigente palestinese, anche per il fatto che siamo un popolo semita. Nel primo governo Arafat c’era persino un ministro ebreo israeliano, Hilan Halevi, che fu rappresentante dell’OLP nell’internazionale Socialista!”

Possibile che gli antifascisti dell’Anpi (o almeno una parte di essi) non comprendono o non vogliono comprendere una così altrettanto solida evidenza?… O che, infine, intendano ignorare che da 72 anni, al di là del Mediterraneo c’è un popolo per il quale “resistere” è, da sempre, una pratica quotidiana?

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