-di PIERLUIGI PIETRICOLA–
Coronavirus: continua il nostro dialogo con la Professoressa Maria Rita Gismondo sulle ultime novità relative al Sars CoV2 e sulla fase 2 nella quale entreremo a breve.
Partiamo dalla novità di questi giorni, Professoressa. E cioè la notizia che chi ha contratto il Sars CoV2 ed è guarito sviluppando gli anticorpi (le IgG) diviene immune.
Io sono una rompiscatole, ma questa non è una notizia. Il discorso a mio avviso è da impostare diversamente. Lo studio ci dice che dopo un certo numero di giorni dall’infezione da Sars CoV2, si trovano le IgG. Ma questo già lo sapevamo, altrimenti non si potrebbero praticare i test sierologici per la ricerca degli anticorpi. Il punto è che, ad oggi, non sappiamo se queste IgG siano neutralizzanti, che è quello che ci interessa, e non sappiamo per quanto tempo dureranno. Quello che dobbiamo capire è quanto duratura sia l’immunità.
E come si fa a capire se le IgG sviluppate contro il Sars CoV2 dureranno nel tempo?
Se le IgG siano o meno durature dobbiamo aspettare per capire se lo stesso paziente, passati alcuni mesi dalla prima rilevazione, le ha ancora presenti oppure no. L’altra caratteristica è che siano neutralizzanti. Perché se noi produciamo degli anticorpi che non sono neutralizzanti, o non lo sono in misura sufficiente da neutralizzare il virus, non ci servono quasi a niente.
Ammettendo che le IgG in questione non siano sufficienti per neutralizzare del tutto il Sars CoV2, il caso di una reinfezione dello stesso virus si può pensare che avvenga in modo molto attenuato?
Queste sono ipotesi da valutare. Al momento non possiamo affermarlo con certezza.
Condivide quello che ha detto il Prof. Francesco Le Foche, e cioè che il Sars CoV2 è simile alla SARS per l’80% e come quest’ultima andrà a morire naturalmente?
È assolutamente simile al coronavirus della SARS per più dell’80% , al punto che scientificamente possiamo considerarli cugini. Che questo poi significhi che il Sars CoV2 si vada spegnendo come la SARS è una speranza al momento.
Però la SARS è scomparsa.
Sì, nel giro di un anno la SARS è scomparsa. Ci auguriamo che questa similitudine possa ripetersi per il Sars CoV2.
Condivide il modo con cui si svolgerà la nostra fase 2?
Come ho più volte detto, il governo ha esigenze politiche che debbono mediare con quelle epidemiologiche. Se sono d’accordo per l’80% dell’Italia, altrettanto non posso dire per regioni quali la Lombardia e il Piemonte, che sono nelle condizioni di numero di contagio che un mese fa ci ha fatto dire: “Stiamo tutti a casa”. È pur vero che il trend generale va a decrementare. Dico che il modello adottato di isolare tutti, sani compresi, poteva essere evitato. Per esempio, si sarebbero potuti salvaguardare e isolare i soggetti anziani e quelli con patologie particolari, e controllare strettamente tutti i sani in maniera da individuare i micro focolai che si sarebbero potuti presentare. Mi riferisco ad una situazione come quella che abbiamo avuto noi all’inizio di tutta questa vicenda, cioè a Febbraio. A tal proposito, c’è uno studio che dimostra che il massimo successo di intervento per contrastare le epidemie si ha nei primi diciassette giorni dall’individuazione del focolaio di partenza. Come che sia, una volta che si è scelto il modello Wuhan, lo si sarebbe dovuto portare avanti fino in fondo e adottandolo appieno. Non basta migliorare sensibilmente per riprendere la vita quasi normale. Occorre arrivare all’obiettivo finale di R0 a livello quasi pari allo 0 per tutto il territorio nazionale. Ma questa è una situazione valida per alcune regioni, non per tutte.
Le ipotesi relative ad una probabile seconda ondata su che basi poggiano?
La seconda ondata, non impossibile che si possa realizzare – anzi: io credo che vi siano buone possibilità –, è legata soprattutto ai comportamenti individuali. Vale a dire: bisogna essere ligi a mantenere il distanziamento sociale e utilizzare i dispositivi di protezione (le mascherine). Se si osserveranno queste misure, il rischio di una seconda ondata è di gran lunga minore. In ogni caso, si tratterebbe di una seconda ondata molto diversa, perché abbiamo delle molecole che ci aiutano per un buon percorso di guarigione, seppur non in tutti i casi. E poi abbiamo più terapie intensive. Nel caso di una seconda ondata, riusciremo sicuramente a decelerare questo virus. Però ci tengo a ripeterlo: i rischi di una seconda ondata sono legati all’80% dai nostri comportamenti individuali e al 20% da quelli del virus in questione.
In Spagna la fase 2 si svolgerà in questo modo: si riapre un settore per volta e si sta a vedere cosa accade per i successivi quindici giorni. Se, come prevedono gli esperti spagnoli, tutto resterà nell’ordine e si riusciranno a controllare eventuali nuovi contagi, entro il 30 Giugno prossimo si tornerà ad una vita normale. Condivide questo modo di portare avanti la fase 2, molto diverso da come faremo noi in Italia?
Quello adottato in Spagna non è propriamente un modello infettivologico, ma strategico-politico. La fase 2, credo, bisogna organizzarla tutelando le fasce a rischio cui accennavo poc’anzi. Quello che mi fa più preoccupare è il contatto dei bambini con i nonni, molto forte in Italia, Spagna e Francia. È vero che i bambini, pur infettandosi, non hanno un decorso grave – eccettuati pochissimi casi. Ma in questo modo si trasformano in trasmettitori del virus. Ora che i genitori torneranno a lavoro e i bambini verranno affidati ai nonni, bisognerà stare attenti.
Lei quando avrebbe dato il via alla fase 2?
Io non avrei riaperto adesso. Mi sarei fatta guidare esclusivamente dal livello di R0 pari a 0,2 o 0,3. A quel punto avrei riaperto tutto.
Ma è anche vero che una situazione di lockdown così prolungata sarebbe impossibile da sostenere.
È una questione di educazione, se così vogliamo chiamarla. Fondamentalmente noi siamo un popolo democratico e quindi non sarebbe stato facile per la gente sopportare ulteriormente una situazione del genere. I cinesi hanno un background diverso da noi.
Mi chiedo: nella fase 2, e in preparazione di una eventuale seconda ondata, non si può attivare una filiera efficiente che parte dal medico di base e arriva alle strutture ospedaliere del territorio associando a tutto questo, al limite, anche la creazione di ospedali da campo per eventuali urgenze, per limitare una espansione eccessiva dei futuri casi di contagio? Ormai un po’ di esperienza, nostro malgrado, l’abbiamo.
Uno dei problemi che più ha inciso dal punto di vista negativo è stata proprio la medicina del territorio. È vero che gli ospedali hanno avuto riduzioni di posti letto enormi negli ultimi quindici anni. Per fortuna abbiamo retto abbastanza bene, anche se avremmo potuto programmare prima questa situazione di emergenza. Il punto è che ancora non c’è un legame stretto fra il medico di base e le realtà ospedaliere locali. In più, i medici di base non hanno una cultura infettivologica, tanto è vero che in tanti si sono infettati.
In Cina casi autoctoni di contagio non ci sono più. Solo casi provenienti dall’esterno, ma comunque non così gravi. Questo può lasciar presupporre che il Sars CoV2 si sia di molto attenuato?
Sì, in Cina adesso c’è qualche caso importato e non ve ne sono di gravi. Mi auguro che non ci nascondano altre notizie importanti.
cCondivide il modello adottato dalla Svezia – non chiudere nulla e appellarsi alla responsabilità dei cittadini?
La Svezia ha una vastità di territorio tale che rimanere aperti, come loro hanno scelto, è un discorso valido per le caratteristiche specifiche che li riguardano. Per noi questa è la prima pandemia che affrontiamo. Quindi è tutta una novità.