-di PIERLUIGI PIETRICOLA–
L’ultimo libro di Marco Presta è semplicemente bellissimo. Fate come se non ci fossi, recita il titolo: un monito, un bonario consiglio. In un certo senso, anche una manifestazione di modestia. Perché questo diario intimo, questo sguardo sul mondo quotidiano, con le sue piccole gioie, afflizioni, speranze, avvenimenti storti che rendono nera la giornata di ogni comune mortale, Presta vorrebbe fosse il punto di vista adottato da ogni suo lettore.
Si tratta, però, di una vana speranza. L’ironia, l’humor, quello sguardo apparentemente cinico – ma così romantico e pieno di tenerezza e sensibilità – non è caratteristica comune. In pochi la possiedono. E quei pochi sono fra i più fortunati uomini che vivono sulla terra, perché non sono afflitti da ciò che ad altri può atterrire o immalinconire in quanto ne scorgono l’altra faccia della luna, quella che rimane sempre in disparte e che, se presa in esame, farebbe crollare il mondo di apparenze e sofferenze così meschine in cui tutti siamo irretiti.
L’umorismo di Presta non ha tinte malinconiche come quello pirandelliano. Non ha neppure quel tono fra il rassegnato e lo sconfitto tipici di Flaiano. Forse può rassomigliare alla realtà buffa e grottesca di Zavattini? Neppure. Presta possiede molti tratti in comune con l’arguzia geniale e irriverente di Marcello Marchesi e con l’innocenza burlesca di Achille Campanile – senza incedere nel nonsense di quest’ultimo. È indubbio che si tratti di modelli che il nostro scrittore abbia sempre presente quando si trova di fronte al foglio bianco. Ma il divertimento che scaturisce da una pagina di Presta, indifferentemente che si tratti di un romanzo, di un racconto o – come in questo caso – di un diario quotidiano, è dettato dalla presa di coscienza che il mondo, la realtà, la vita non possono essere cambiati per alcun motivo.
E quindi, se le cose stanno così, perché crucciarsi, disperarsi, intristirsi? Tanto vale accettare quello che avviene cercando di scoprirne il lato buffo. La conseguenza è che nulla è più com’è. Una caldaia non è più banalmente un oggetto votato a farci fare docce bollenti, ma “il vero, grande nemico della specie umana”, “un avversario temibile, sempre in agguato” e che “chiusa nel suo sarcofago metallico sul terrazzo, aspetta” il fine settimana per non funzionare e mettere il povero e innocente marito nella condizione di improvvisarsi idraulico, ingegnere, astrofisico per rimetterla in funzione. Fausto Papetti, il cantautore mascalzone dalle copertine licenziose votate all’educazione sessuale degli adolescenti, viene rivalutato – magari non alla stregua di Wagner, ma il passo è breve – alla luce della musica a percussione ascoltata dai giovani in automobile a tutto volume. E i pantaloni corti, alla moda – “oggi vanno così” – possono essere rinchiusi nell’armadio ad invecchiare come si fa con il vino. Persino un’intenzione balorda, come quella di un famoso comico, di escludere un suo autore dai proventi Siae, si risolve in modo semplice: “Lo so, lo so… lo fa spesso…”.
Di fronte a questa lezione di saggezza leggera e intelligente, una domanda sorge: perché accettare ciò che non va invece di combattere per cambiarlo? Perché, ci dice Presta, “il novero delle cose che non ci piacciono è molto più lungo di quelle che ci piacciono, per questo le cose che ci piacciono sono così preziose”. E conclude: “Il caffè amaro e tutto il resto, probabilmente, servono a farmi apprezzare di più la pasta alla carbonara e il sorriso di mia moglie”.
È anche vero che l’umorismo, come esercizio di intelligenza e sopravvivenza, ha un limite. E ce lo svela Presta in conclusione del suo libro: “Alla fin fine, ho l’impressione nebulosa che esistano giusto un paio di cose importanti nella vita e che le altre servano a imballarle e a non farle rompere”. E per non sbagliare, è sufficiente applicare il saggio consiglio dato da un meccanico intento a cambiare le pastiglie dei freni di una macchina: “È semplice. Non devi fare un cazzo”.
Ecco tutto.
Ci vuol poco, penserete voi lettori coraggiosi. In realtà è difficile, complicatissimo raggiungere questa consapevolezza orientale di stampo zen.
Ma niente paura. Un buon viatico, intanto, è questo libro bellissimo, intelligente, scritto in un italiano colto e pieno di luce. L’unico problema è seguire il consiglio che ci dà l’autore nel titolo: Fate come se non ci fossi.
Come si fa?
Magari la risposta giusta può darcela un saggio meccanico.