– di FRANCO CAVALLARI –
Fatti salvi gli aggiustamenti marginali in corso di elaborazione, le linee essenziali della manovra finanziaria per il 2020, configurano l’assetto fondamentale della Legge del Bilancio per l’anno prossimo. L’analisi delle principali poste correttive proposte all’approvazione del Parlamento lascia trasparire una manovra complessiva che solleva una ridda di valutazioni demagogiche, sia da parte dell’opposizione, sia all’interno della maggioranza. Ne conseguono innumerevoli emendamenti, espressione della posizione politica dei vari partiti, ma anche della loro preoccupazione di marcare il territorio con particolari norme gradite ai rispettivi elettorati di riferimento.
Al di là delle valutazioni espresse dalle parti in causa, un esame discretamente oggettivo dei relativi provvedimenti induce a considerare che si tratta di una proposta del Governo quasi totalmente priva degli elementi necessari per il rilancio dello sviluppo del reddito e dell’occupazione di cui il nostro Paese ha urgente bisogno. Si tratta, in realtà, di una manovra volta essenzialmente ad evitare i disastri evocati dall’impostazione del Governo precedente: dovendo destinare ben 23 Mld delle scarse risorse a disposizione alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia concernenti l’aumento dell’IVA, rimane ben poco per cercare di rilanciare la nostra economia.
Ricapitolando per sommi capi le misure contenute nel progetto di Legge finanziaria, rileviamo che l’insieme degli impieghi aggiuntivi ammonta a circa 32 Mld, in contropartita dei quali troviamo risorse aggiuntive per circa 16 Mld, mentre i restanti 16 Mld troveranno copertura nell’aumento del disavanzo di bilancio. Come accennato, l’intervento più consistente si riferisce alla disattivazione delle clausole di salvaguardia relative all’aumento del gettito dell’IVA, per le quali è d’uopo sottolineare che si tratta di un dispositivo che ha coperto finanziariamente le spese correnti del Reddito di cittadinanza e di “Quota 100” relative all’anno 2019. Da non trascurare anche la circostanza che si tratta di norme già entrate nel contesto giuridico in vigore, la cui applicazione avrebbe comportato un consistente aumento del prelievo fiscale presso le famiglie. La loro sterilizzazione, pur avendo una valenza sociale importantissima, non sarà percepita dall’opinione pubblica come un miglioramento, che pure interviene rispetto a ciò che sarebbe risultato senza la revoca di dette clausole; miglioramento, comunque, che non è evidenziato dal il confronto diretto con l’anno precedente.
Com’è noto, tra i principali utilizzi di risorse per i restanti 9Mld, la riduzione del cuneo fiscale a carico dei lavoratori dipendenti utilizza circa 3 Mld, destinati ad aumentare le retribuzioni inferiori a 35 mila euro (esclusi gli incapienti con redditi inferiori a 8 mila euro l’anno). Questo aumento, riferibile ad una platea di circa 6 milioni di lavoratori dipendenti, consentirà un incremento molto limitato delle retribuzioni (circa 500 euro l’anno), poco più di un doveroso segnale di riconoscimento delle ragioni retributive dei lavoratori a più basso reddito. Il resto delle correzioni di bilancio riguarda l’adeguamento di spese obbligatorie ed una molteplicità di piccoli interventi concernenti situazioni sociali squilibrate, come i sostegni alla famiglia per la natalità e la frequenza agli asili nido, il rinnovo contrattuale del pubblico impiego 2019-2021, la spesa in conto capitale di Stato, Regioni e Comuni, nonché i crediti di imposta per gli investimenti in beni strumentali delle strutture produttive del Mezzogiorno.
Dal lato delle coperture finanziarie, i tre quarti circa dei 16 Mld non finanziati con maggiore disavanzo derivano da maggiori entrate. In primo luogo, viene acquisito-per il solo 2020-un maggior gettito in conseguenza della rimodulazione delle due rate di acconto dell’autotassazione. Sono inoltre previsti recuperi di gettito per misure di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, aumenti di incassi provenienti dalle imprese bancarie, l’introduzione di nuove imposte sul consumo dei manufatti di plastica con singolo impiego e su taluni tipi di bevande, la revisione delle agevolazioni fiscali sulle auto aziendali, nonché aggravi nella tassazione riguardante i giochi e i tabacchi.
Il contenimento delle spese pubbliche, che copre l’ultimo quarto, oltre che da nuovi risparmi attesi in ragione di un abbassamento dello “spread” e del minor utilizzo rispetto al previsto dell’anticipo pensionistico (“quota cento”), è assicurato principalmente dalla riduzione della spesa dei Ministeri e da ulteriori definanziamenti come, ad esempio, quelli relativi al Fondo sviluppo e coesione e per l’edilizia sanitaria. In ogni caso, la copertura finanziaria della manovra registra nel suo insieme, da un lato, qualche modesto aumento dell’imposizione su taluni cespiti, ai quali corrisponde, dall’altro lato, una detassazione di altri cespiti; sicché la pressione fiscale complessiva rimane praticamente immutata rispetto all’anno precedente.
L’insieme di queste modeste variazioni di bilancio andrà a calarsi sulla situazione congiunturale di fine 2019 caratterizzata, malgrado qualche modesto miglioramento del periodo estivo, da una sostanziale stagnazione, con un aumento del PIL annuale di non più dello 0,2%. Le simulazioni più attendibili per il 2020 confermano che le poste correttive della manovra di bilancio in corso di elaborazione avranno nel prossimo anno un effetto espansivo sul PIL reale dello stesso ordine di grandezza, in presenza, peraltro, di un mercato del lavoro anch’esso sostanzialmente stagnante.
In definitiva, se si tiene conto che la proposta di Legge finanziaria in discussione ha mantenuto anche per il 2020 le spese correnti del Reddito di cittadinanza e di “Quota 100” approvate dal precedente governo, si può concludere confermando appieno l’intento conservativo degli equilibri essenziali che essa realizza, asseverando nei fatti la definizione di “Manovra di galleggiamento” formulata da alcuni economisti. Una manovra prudentemente orientata a riportare sotto controllo gli equilibri generali dell’economia e della finanza, ancora febbrilmente perturbati, vista anche la delicata situazione politica generale del Paese.
Quanto al possibile reperimento di un volume di risorse maggiore da dedicare alla crescita auspicato da alcuni osservatori, la maggior parte degli economisti ritiene che ciò avrebbe comportato non pochi squilibri, forieri di effetti negativi molto superiori rispetto ai benefici ottenibili in termini di sviluppo del reddito. In realtà, se originate da un ulteriore disavanzo di bilancio, eventuali risorse aggiuntive da destinare allo sviluppo comprometterebbero gli ancora fragili assetti finanziari, in una fase politica che registra orientamenti dei principali partiti ancora notevolmente confusi e potrebbero causare effetti deleteri crescenti a boule de neige, probabilmente in grado di travolgere in un catastrofico “default” l’assetto economico-finanziario del Paese.
Ben diverso sarebbe l’effetto sulle possibilità di crescita di un finanziamento degli stessi obiettivi, laddove le relative risorse pubbliche fossero generate attraverso una minipatrimoniale finanziaria1. In proposito, bisogna comunque considerare che il finanziamento della crescita per mezzo di un aumento delle imposte sarebbe fuori luogo nella situazione attuale. La nostra economia, prima di affrontare riforme così coraggiose, necessita di un periodo di decantazione degli assetti politici, dovendo ancora riguadagnare appieno la indispensabile credibilità in Europa e sui mercati; potrebbe, però, essere varata nel corso dell’anno prossimo (o anche con la finanziaria successiva) se la situazione generale politica ed economica del Paese dovesse registrare qualche schiarita.
In ogni caso, bisognerebbe fare i conti con quel muro irragionevole di dannatio memoriae, una specie di trappola ispirata dalla cultura di destra in cui è rimasta invischiata gran parte dell’opinione pubblica italiana: l’idea che considera virtuoso ai fini della crescita qualunque sgravio fiscale generalizzato dei redditi più elevati; ed attribuisce a qualunque forma di tassazione la capacità di disseccare l’economia impedendone lo sviluppo. Da questa impostazione concettuale, che induce a considerare alla stregua di una bestemmia economica qualsiasi ipotesi di tassazione patrimoniale, è conseguita una specie di paralisi degli orientamenti economici della politica di sinistra, preoccupata dalla possibile perdita di consenso.
Anche se attualmente nessuno ne parla, una soluzione ai nostri cronici problemi di crescita attraverso un finanziamento di questo tipo avrebbe un’innegabile efficacia. E pur provocando una prevedibile levata di scudi della destra populista (pronta ad echeggiare fantasmi inesistenti in una opinione pubblica spaesata ed impaurita), troverebbe probabile consenso anche nella parte più illuminata della nostra imprenditoria. Da un punto di vista politico si tratta di un itinerario che non presenterebbe particolari difficoltà procedurali, ma la sua realizzazione richiederebbe una non banale dose di coraggio; quel coraggio politico di cui, al momento, la classe dirigente italiana non sembra particolarmente dotata. Ma non è insensato continuare a sperare che in futuro la situazione consenta alla sinistra un auspicabile scatto d’orgoglio, intraprendendo senza esitazione la via maestra della sinistra, quella improntata alla ripresa economica, all’aumento dell’occupazione e alla riduzione delle diseguaglianze, obiettivi indispensabili al benessere economico e sociale del Paese.
1) Con il termine minipatrimoniale finanziaria si vuole indicare un prelievo di lieve entità (ad esempio tra il 2 e il 3%) sulla ricchezza finanziaria superiore, ad esempio, a 250 mila euro. Secondo le rilevazioni di B.I., questi ammontano a circa 1600 Mld, di cui circa la metà superano il milione di euro. Se ne potrebbero ricavare facilmente più di 30 miliardi, una soglia critica di risorse che, impiegate negli investimenti pubblici dal ciclo veloce e nella decontribuzione dell’occupazione (specialmente di quella giovanile) in favore delle aziende e dei lavoratori metterebbero in circolazione capitali in grande misura inattivi, imprimendo allo sviluppo quel cambio di passo di cui l’Italia ha estremo bisogno (e che la flat tax vagheggiata dalla Lega non potrebbe mai dare). È stato dimostrato da numerosi studiosi e testimoniato da molti imprenditori che il finanziamento dello sviluppo con questi capitali, se ben congegnato, non spaventerebbe nessuno e sarebbe in grado scongiurare il pericolo di desertificazione economica paventato da numerosi studiosi liberisti nei casi di imposizione patrimoniale generalizzata.