La missione del dotto e il futuro dell’Europa

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

Capita d’imbattersi in giornate che si rivelano memorabili. Non v’è una ragione particolare affinché ciò accada. Si tratta d’una coincidenza alla quale si bada, così decidendo di seguirla. Casuali concomitanze ci parlano e trasmettono messaggi chiarificatori così sciogliendo infiniti dubbi che avviluppano la nostra anima. Ma noi, distratti come siamo dalle beghe che occupano pensieri e minuti preziosi, non vi badiamo. Tante cose possono essere rivelatrici: un monumento, un discorso afferrato al volo, un dipinto osservato con più attenzione del solito, una melodia intonata dentro una chiesa durante una liturgia. Stavolta è stata un’aula accademica a riservare tesori di cui val la pena raccontare per brevi cenni qualcosa.

Alla Pontificia Università Gregoriana si è svolto giorni fa un incontro dedicato ai rifugiati politici, come accoglierli nei nostri confini. Entrando, pensavo si parlasse delle solite leggi o proposte da prendere in esame per risolvere un problema altrimenti ingestibile. E invece nulla di tutto ciò.

Al tavolo dei relatori: Marco Damilano, direttore dell’Espresso nella funzione di moderatore del dibattito, portato avanti da Massimo Cacciari e Luciano Manicardi, quest’ultimo attuale priore della Comunità di Bose fondata da Enzo Bianchi.

D’impostazione nettamente diversa i discorsi che via via si sono tenuti nel simposio. Quelli di Manicardi interessanti, a tratti belli: è innegabile! Ma le sue idee e i suoi concetti mancavano d’un qualsiasi appoggio al presente. Le parole del Priore di Bose sembravano debitamente forgiate per anime pure e belle, che poco vogliono avere a che fare col mondo quotidiano e tutte le difficoltà che vi allignano. Si può, all’inizio, restare abbacinati dalla bellezza di tanti argomenti – il farsi prossimi all’individuo straniero che giunge sulle nostre terre, serbare memoria delle proprie esperienze per non ripetere errori brutali commessi in passato, concepire l’esistenza di ogni persona come un cammino da compiere ed intendere sul piano simbolico, il tempo ormai brutalizzato della quotidianità e di cui, invece, ciascun uomo dovrebbe far tesoro – ma poi si finisce per restare sgomenti perché di tante opinioni nulla vi è che possa tramutarsi in soluzione operativa.

D’altro genere, invece, i ragionamenti addotti da Massimo Cacciari. Egli, benché filosofo, ha dato prova che essere speculativi non vuol dire volgere lo sguardo al mondo iperuranio; bensì guardare la realtà in cui siamo calati senza nutrire idola, falsi fantasmi.

Cacciari ha iniziato discorrendo dell’Europa non come crogiuolo statico di nazioni che via via hanno dato vita ad una comunità, bensì ente sempre in divenire, idea che trova la sua realizzazione più autentica nel futuro, come qualcosa che dovrà essere. Impostazione che, attualmente, si è persa. Così come è venuto meno lo spirito europeo di scoperta, di curiosità per l’ignoto, di volontà di comprendere quest’ultimo in modo da possederlo così integrandolo. Per essere veramente tale, l’Europa non può venir meno al principio dell’accoglienza. Essa non può non mettere in atto una politica mediterranea, una sorta di piano Marshall da attuarsi nelle zone del Terzo Mondo. Quale la grande questione? L’Africa in primis. L’Europa non ha saputo affrontarla, al contrario della Cina. Ciò è accaduto perché le attuali élites europee sono vecchie. Sopravvissute, ma comunque vecchie. E ciò che è vecchio si difende, tende a conservare se stesso presagendo il proprio declino e cercando di allontanarlo il più possibile. Per questo l’Europa non accoglie, non si apre al nuovo e quindi a ciò che appare come straniero.

Può durare un modello culturale siffatto? Per quanto ancora potrà sopravvivere? Questi gli interrogativi che occorre affrontare, in modo lucido e impietoso, mai scevro da severe autocritiche.

Argomenti, quelli sostenuti da Cacciari, che gettano luce sull’attuale presente senza mai cadere nella cronaca o in un racconto più o meno bene organizzato sull’attualità. L’esempio principe di quello che i greci chiamavano bios theoretikos, vale a dire la filosofia: riflessione vera e sincera sulle forme del vivere nelle quali siamo coinvolti.

Concomitanza felice, quella di questo convegno, che obbliga a ripensare l’essenza del nostro essere occidentali. Così come ci esorta a rileggere opere che gettano salvifica luce su questo evo buio e tremendo. Ne citerò qualcuna a mo’ d’esempio: Minima moralia. Meditazioni della vita offesa di Adorno, Civiltà al paragone di Toynbee, Migrazioni di Miloš Crnjanski.

A questo servono gli intellettuali come Cacciari: ad aprire nuove prospettive, a sradicare fasulli pregiudizi.

Cos’altro diceva, del resto, la missione del dotto teorizzata da Fichte?

pierlu83

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