Meraviglioso Ripellino

-di PIERLUIGI PIETRICOLA-

Non da adesso amo Angelo Maria Ripellino. Questo mago della parola, critico impareggiabile, straordinario evocatore di mondi ormai scomparsi. Basta un suo fraseggio per riassaporare gli echi, i profumi, i suoni, le oscurità, le nebbie e gli splendori di una città, di uno scrittore, di un’epoca. Si possono trovare autori che gli rassomigliano? Fu Ripellino stesso a scorgere in Claudio Magris un suo simile. Ma mentre nell’autore di Praga magica nulla vi è del tedio e del sussiego accademici, nell’illustre germanista ogni tanto emerge l’acribia del classificatore, di colui che ama mettere in ordine notizie e informazioni affinché nulla sfugga al lettore; ma senza, beninteso, tralasciare felici intuizioni critiche.

Chi conosce, oggi, Ripellino? Pochissimi. Egli è noto fra gli slavisti per ovvie ragioni di mestiere. Ma tra gli appassionati di libri, non molti sono coloro i quali hanno letto pagine di questo grande letterato difficile da incardinare in una categoria. Perché Angelo Maria Ripellino fu tra gli studiosi di letteratura russa e ceca un genio senza dubbio. Ma come dimenticare la sua eredità poetica, il suo meraviglioso talento come critico teatrale, il suo sguardo preciso quando vestì i panni di cronachista per narrare, attraverso le pagine de L’Espresso, i fatti della Primavera di Praga?

Più delle parole, sarà meglio dare qualche esempio. Ecco come Ripellino evoca, in pochi ma precisi dettagli, le qualità saggistiche e critiche di Giovanni Macchia: “Ammiro la trasognata e sommessa, in punta di piedi, scrittura, che rende il sussurro d’amore e il fruscio di seta dei commedianti nel silenzio dei parchi, il labile carnevale arieggiante le feste veneziane, i riverberi, gli abbigliamenti, l’impalpabile fantasticheria di questi dipinti. Fra tanta ciurmaglia di gelide carte di critici, che non hanno nemmeno il sospetto di ciò che siano la sincronia e la convergenza delle arti, è un diletto seguire nelle sue rêveries questo regista che raccorda ed intesse frammenti di poesie, di pitture, di teatro, come un orefice che raduni in un prezioso mosaico le limature dell’oro. Egli è vinto e maleficiato per sempre da quel brulichio di teatranti, di comiche, di saltatrici, di sonatori, di mezzettini”. Così Ripellino tratteggia il Mandel’štam della Quarta prosa: “Ma come sa raggriccirsi e infuriare, se pervasa di sdegno, questa scrittura ben temperata. La Quarta prosa, provocata da un’accusa di plagio rivoltagli dal critico Gornfel’d, contiene attacchi-capestro contro alcuni figuri della cerchia accademica moscovita e definizioni brucianti della servitù furfantesca di parecchi letteratucoli”. Ed ecco come Pasternàk ci viene presentato: “In Pasternàk la parola diventa, ancor più che negli altri futuristi, corposa e palpabile come un oggetto e acquista un rilievo così prominente, che a volte sembra di scorgerne gli spigoli… Ma se i vocaboli d’un Mandel’štam si allineano, senza legami, con la compatta rigidezza di elementi geometrici, quelli di Pasternàk, nella loro densità materiale, sono annodati l’uno all’altro in un giuoco di strabilianti rapporti sonori”.

Il critico per Ripellino non è solo uomo che studia e porta alla luce il lato nascosto dell’opera d’arte. Per adempiere a questo nobile compito, egli s’avvalse della lezione dei formalisti russi secondo la quale interpretare un testo vuol dire ricercare, tra le maglie dell’opera, quelle immagini qui e lì disseminate e che sovente ricorrono, pronte a sfuggire ad occhi ingenui. Se si fosse limitata a questo, la prosa critica di Ripellino sarebbe stata fredda e noiosa come quella di tanti suoi colleghi. All’analisi, egli accostò sempre il piacere dell’evocazione. Per Ripellino, il critico deve saper ricreare su carta l’ambiente nel quale visse lo scrittore, far rivivere le passioni di questo, le sue contraddizioni, i suoi dubbi, le sue certezze, le sue piccinerie, i suoi lati eroici. È così, e non altrimenti, che la critica diviene poetica. O, per dirla con le parole stesse del nostro autore, un travestì di saggio e romanzo.

Guai se il discorso critico non diverte. Esso deve saper agghermigliare l’attenzione del lettore, aprirgli nuovi spazi, fargli intravedere l’universo che dietro un’opera si nasconde. Da qui le continue e mirabolanti analogie fra letteratura, teatro, musica e arti visive. Chiunque si accosti a un saggio di Ripellino, che sia pronto a non trovare troppe spiegazioni. Un’idea, un concetto, un principio estetico saranno delineati attraverso analogie continue ricorrendo a esempi fra i più disparati. Metodo che potrà creare sconcerto, ma che scardinerà la malsana idea dello specialismo come unica attitudine propria dello studioso. Quest’ultimo appartiene alla felice schiera degli spiriti dilettantisti, di coloro che sanno volare e osservare panorami diversi sentendosi a proprio agio ovunque e, allo stesso tempo, sempre stranieri in casa propria.

Val la pena, quindi, di riscoprire Ripellino. Che lo si legga con entusiasmo e fiducia. Sarà un viaggio ricco di sorprese e doni. Oltre che una lezione di stile e raffinata intelligenza.

pierlu83

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