– di EDOARDO CRISAFULLI –
Una docente di italiano “serissima” e “assai stimata” di un Istituto tecnico di Palermo – ha circa 40 anni di onorato servizio alle spalle – è appena stata sospesa per 15 giorni con stipendio dimezzato. Quale la colpa grave che ha innescato la pronta reazione ministeriale? Non avrebbe vigilato sui ragazzi della sua classe. Quei discoli hanno accostato Salvini al Duce in una lezione incentrata sulle leggi razziali fasciste (il decreto sicurezza ricorderebbe la discriminazione antiebraica, di quelle leggi infami sarebbe addirittura una reincarnazione contemporanea). È giusto oppure eccessivo un provvedimento disciplinare così severo, piuttosto raro in Italia per casi analoghi, peraltro preso con la velocità di un lampo? Premesso che ritengo diseducativo nonché politicamente idiota che si incoraggi, o anche soltanto si tolleri, l’equiparazione di un leader democratico a un dittatore – a parte il danno di immagine alla parte lesa, viene annacquato il male assoluto rappresentato dal nazifascismo –, s’impongono due riflessioni.
(A) Sottolineiamolo: la professoressa non è stata punita per aver assimilato lei stessa la figura del nostro Ministro dell’interno a quella di Mussolini. No, la trasgressione è un’altra: non ha redarguito i suoi studenti o non ne ha controllato preventivamente il lavoro “purgandolo” da ogni riferimento offensivo – l’accostamento assurdo è avvenuto nel corso di una presentazione PowerPoint preparata dai ragazzi con tanto di immagini giustapposte dei due leader. Che la decisione avverso la docente, presa dall’ufficio periferico del MIUR su indicazioni venute dall’alto, rispetti la normativa vigente – e ci mancherebbe altro! – non significa nulla. È stato dato sufficiente tempo all’accusata di discolparsi? Come si è svolta l’ispezione? Si è riflettuto sulla costituzionalità di un provvedimento che ad alcuni colleghi della professoressa punita pare vessatorio e anticostituzionale? In breve: è stato seguito un procedimento garantista? Ecco i due articoli della nostra Costituzione che fanno al caso nostro.
Art. 21. “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto, e ogni altro mezzo di diffusione.” Art. 33 “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento”.
Intanto che riflettete, noto con rammarico che non è stata tutelata la privacy della docente. Un manipolo di “liberali destrorsi” ha gettato la notizia in pasto ai giornali e ai social, fregandosi ben bene le mani – che occasione ghiotta! Come una freccia che scocca dall’arco partirà la consueta gogna, con tanto di bullismo o squadrismo mediatico. Viva la libertà di espressione. Ma entriamo nel merito. A caldo, è difficile non pensare che questa sanzione sia davvero spropositata. E, soprattutto, pericolosa: crea un precedente di cui non abbiamo bisogno. Chi è in grado di tracciare una netta linea di demarcazione fra la critica legittima e la propaganda che, nelle scuole, andrebbe impedita? Quali analogie storiche sono lecite e quali no? In effetti, è difficile negarlo: l’indifferenza verso i migranti e rifugiati in fuga da guerre e miseria e torture e stupri ricorda l’indifferenza verso gli ebrei che scappavano dalle persecuzioni naziste. Anche allora in un certo senso furono chiusi i porti, anche allora si diceva “non possiamo accoglierli tutti”. Lo possiamo dire o verremo denunciati perché qualcuno coglie in queste parole una critica implicita al governo?
Immagino che, stabilito il precedente, fioccheranno le denunce e le richieste di sospensione quando docenti di destra o cattolici tradizionalisti diranno che Stalin, Pol Pot e i leader attuali della sinistra italiana son fatti della stessa pasta. Io, nella mia carriera scolastica, ne ho sentite di cotte e di crude: Craxi ducetto e ladro matricolato; Andreotti mafioso e amico di chi scioglie i bambini nell’acido; Berlinguer colluso con gli assassini perché sapeva delle foibe e dei processi sommari in URSS. E via calunniando. Nella mia esperienza, nessun professore, dico nessuno, è mai stato sospeso dal servizio per aver detto bestialità o fesserie del genere – anche perché così io qualifico ciò che, per altri, sono legittime opinioni.
(B) Colpisce l’ipocrisia di quei liberali che, stracciandosi le vesti e sbraitando, hanno attaccato la decisione di escludere dal Salone del libro di Torino una casa editrice dichiaratamente e orgogliosamente fascista. Queste stesse persone ora invocano provvedimenti durissimi contro la docente siciliana, rea di aver vilipeso Salvini e la Lega. I leoni da tastiera, su facebook, ne chiedono addirittura il licenziamento in tronco. Neppure quei conservatori di salda (e sincera) fede liberale che pure qualche libro l’hanno letto, e in alcuni casi anche scritto, spiccano per profondità del ragionamento o per spirito critico. I due casi, sì, sono diversi. Non per questo possiamo stiracchiare a piacimento il principio liberale. Nessuno ha censurato la casa editrice fascista, che è – giustamente – liberissima di pubblicare tutto ciò che vuole. Si è solo applicato un criterio di opportunità politica – peraltro in un Paese che, per chi lo avesse dimenticato, ha una legislazione antifascista. Al Salone, insomma, si è fatta una scelta, che non lede la libertà di nessuno. Se infatti il Salone fosse obbligato ad accogliere chiunque, solo perché paga, dove finirebbe la libertà di scelta del curatore? L’imposizione del criterio mercatista “tutti ammessi, paga pagare” segnerebbe la fine di ogni linea editoriale indipendente: anche l’editore fascista, a quel punto, dovrebbe esser costretto a pubblicare libri di sinistra. Idem per gli editori di sinistra: obbligati a pubblicare il Mein Kampf, magari con la foto di Hitler sorridente in copertina.
È in quella scuola di Palermo che è in gioco la libertà: qui è palpabile il rischio che il provvedimento punitivo soffochi la libertà di espressione. Che appaia come un atto politico autoritario. I dubbi, quindi, sono più che legittimi. La docenza, nella scuola di Stato, dev’esser sempre libera. Il concetto stesso di reato di opinione è intimidatorio e illiberale. Figuriamoci nel contesto educativo. Se la punizione del dissenso divenisse uno strumento legittimo di controllo del pensiero, migliaia di insegnanti ricorrerebbero all’autocensura, intimoriti da probabili ritorsioni.
Se fai presente queste contraddizioni, i liberali alle vongole ti rispondono in maniera demenziale con l’espressione che oggi va per la maggiore, ogni volta che tenti di fare un’analogia: “è diverso”. In questo caso avrebbero ragione se solo…fossero coerenti con una filosofia politica, il liberalismo, che ammette senz’altro l’esclusione di editori fascisti/nazisti/antisemiti/razzisti da una fiera o da una rassegna culturale (ribadisco: non si tratta di censura o di divieto di pubblicazione). Non dimentichiamo la lezione di Popper, filosofo liberale doc: non possiamo, e non dobbiamo, essere tolleranti con gli intolleranti. Quello che nella visione liberale non è ammissibile – per “la contradizion che nol consente” – sono gli abusi di potere da parte di chi governa. Alla fine andiamo sempre a parare lì: c’è chi vorrebbe imporre il bavaglio ai docenti non allineati mediante pressioni psicologiche se non minacce vere e proprie. Il paradosso è che taluni liberali conservatori auspicano il conformismo ideologico mentre denunciano l’asfissiante egemonia comunista di un tempo. Ecco perché la vedono in modo diametralmente opposto rispetto a me: libertà assoluta per l’editore fascista (e concomitante costrizione per gli organizzatori del Salone, il Comune di Torino e la Regione Piemonte) ma libertà vigilata per l’insegnante che diffonde pericolose idee sovversive contro un leader di destra. Il loro anticomunismo (in assenza di veri comunisti) assomiglia tanto all’antifascismo intransigente (in assenza di veri fascisti) contro cui si scagliano.
Attenzione, dunque. “È diverso” viene usato spesso per tirare in ballo un’eccezione nel momento in cui un principio di equità o libertà andrebbe applicato a tutti, indistintamente. Ciò dimostra che a quel principio, in fondo, codesti sedicenti liberali non credono. Gli va bene solo quando tira l’acqua al loro mulino, negli altri casi lo sospendono. Sono garantista con i politici di destra e ferocemente giustizialista con quelli di sinistra? Ebbene sì. È diverso, si capisce. Accetto le fake news della Lega ma condanno quelle propalate dalle zecche o dai moscerini rossi? Ebbene sì. È diverso, si capisce. Difendo la libertà di chi urla ai quattro venti la propria fede fascista, gonfiandosi il petto e facendo un bel saluto romano, ma al tempo stesso gongolo se una professoressa di lungo corso viene punita in questo modo esemplare che ad alcuni appare arbitrario o eccessivo? Ebbene sì. È diverso, si capisce. I liberali a corrente alternata ricordano il prototipo del clericale sbeffeggiato dal mitico Salvemini: “Il clericale domanda la libertà per sé in nome del principio liberale, salvo a sopprimerla negli altri, non appena gli sia possibile, in nome del principio clericale”. Sostituite “clericale” con “autoritario” e avrete la formula perfetta per questi signori che, bontà loro, salgono in cattedra per darci lezioni di libertà.