– di ENRICO MATTEO PONTI –
Nell’osteria di un piccolo borgo, uno degli avventori, ricordando i misfatti commessi da un loro compaesano, si bea soffermandosi su alcune cose buone che, a suo dire, lo stesso manigoldo avrebbe pur fatto nei suoi anni giovanili. E via ad elencare l’aiuto prestato ai contadini, in occasione del raccolto; al parroco, quando si offrì di riverniciare la facciata della chiesa che era rimasta chiusa per quasi sessanta anni; alle donne del paese alle quali, al momento di mettere al mondo nuovi bambini, regalava corredini e pannolini.
Dimenticava, però, il nostro distratto beone, che, poi, molti di quei contadini furono spediti a morire al fronte russo con scarpe di cartone ai piedi e fuciletti da far ridere le truppe avversarie, la chiesa si riempì di perseguitati, le donne piangevano i bambini che, ormai giovinetti, venivano massacrati anche da quello che si era spacciato come il più caro amico del capo dei loro connazionali.
Ecco allora che, a mo’ di parabola, questo piccolo preambolo serve ad introdurre la critica più ferma e decisa possibile nei confronti di coloro che, come un fiume carsico, ogni tanto riemergono sulle pagine dei giornali dichiarando che, tutto sommato, Mussolini, fino all’entrata in guerra dell’Italia, aveva, però, pur fatto qualcosa di buono.
Dichiarazioni che se buttate lì fra i fumi dell’alcool in un’osteria possono, forse, lasciare il tempo che trovano ma se, invece, vengono rilasciate da personaggi pubblici che ricoprono importanti cariche istituzionali, nazionali ed internazionali, diventano pericolose mine vaganti. Mine vaganti che rischiano di confondere i giovani, ai quali, così facendo, non si fornisce quella indispensabile preparazione per leggere la storia recente, mentre ad alcuni meno giovani, che non cercano di meglio, si offrono comode sponde per rafforzare i loro torbidi convincimenti.
Ma di che stanno cianciando queste potenziali vittime del morbo di alzheimer?
Perché dimenticano gli assassinii di don Minzoni, di Giacomo Matteotti, del socialista Antonio Piccinini, di Carlo e Nello Rosselli e dei tanti altri uccisi solo perché esigevano il rispetto di quelle regole del vivere civile che si stavano violentemente e progressivamente vanificando?
Perché rimuovono dalla memoria le disastrose avventure in cui venne precipitata l’Italia fra la prima e la seconda guerra mondiale? Le vittime immolate in occasione della campagna di Spagna e della creazione dell’Impero da offrire ad un re sempre più travicello?
Avventure che assorbirono eccezionali risorse umane ed economiche impoverendo, ulteriormente, il nostro Paese ancora alla prese con un difficile processo di crescita e di sviluppo, specie nelle zone più povere e arretrate, per non parlare dell’odio che veniva fatto montare verso la nostra gente a causa delle stragi, come quella di Addis Abeba, che contò decine di migliaia di morti, che venivano perpetrate in nome della difesa della patria, prima, e della razza ariana, poi.
E degli assalti alle Camere del Lavoro; delle tipografie incendiate dagli squadristi; dei seggi elettorali presidiati dalla milizia fascista perché si votasse a senso unico; degli arresti indiscriminati di cittadini, che, colpevoli solo di non volersi iscrivere al Partito Nazionale Fascista, venivano licenziati, aggrediti e massacrati a colpi di manganello; dei tanti operai ed intellettuali inviati al confino; dei Tribunali Speciali; della polizia segreta colpevole della sparizione di migliaia di liberi pensatori ne vogliamo parlare?
E alle norme che prevedevano la censura che colpiva indiscriminatamente tutti i giornali fino ad arrivare alla loro completa chiusura vogliamo, signori revisionisti della più bell’acqua, dare un ripassatina? Magari prima di andare a rilasciare interviste a quei giornali che si avvalgono del meraviglioso principio che va sotto il nome di “libertà di stampa”, giustamente assicurato dalla nostra stupenda Carta Costituzionale? Giustamente e non per fortuna in quanto quella Costituzione non nasce da un caso fortuito ma nasce da una dura guerra di resistenza i cui valori, oggi, qualcuno vorrebbe venissero dimenticati.
E questo era solo il preludio ovvero la marcia funebre che, subito dopo l’altra marcia, quella su Roma, accompagnava i primi anni della dittatura quelli, cioè, durante i quali qualcuno ancora osa affermare essere state fatte cose egregie …
Perché, poi, arrivarono gli anni ancora più neri, ancora più bui, ancora più ignobili.
Gli anni durante i quali, per compiacere il camerata Adolfo, anche nel nostro Paese venne fatta partire la triste stagione dell’antisemitismo. Le leggi razziali che, promulgate senza discutere dal pavido ed inadeguato re Vittorio Emanuele III, dalla sera alla mattina videro espulsi da tutte le scuole del regno allievi, bidelli e insegnanti; radiati dagli ordini professionali medici, avvocati, giornalisti, architetti, ingegneri; licenziati migliaia di cittadini italiani tutti colpevoli di essere ebrei.
Gli anni che portarono a precipitare il nostro Paese in quella immane tragedia che fu la seconda guerra mondiale. Un sogno che si trasformò presto in un incubo: le truppe male armate e i mezzi inidonei o obsoleti non avrebbero dovuto mostrare tutta la loro insufficienza in quanto, dal momento della nostra entrata, la fine della guerra stessa doveva essere imminente.
Invece…. Invece le poche settimane si trasformarono in anni, la galoppata trionfale in immane tragedia, i battaglioni decimati dal freddo e dagli eserciti avversari, le città bombardate, le popolazioni affamate e sfollate.
Una guerra nella quale l’Italia si avventurò per assicurare al Duce un posto fra i vincitori e spartirsi, così, bottini e territori che avrebbero reso ancora più grande il fascismo e l’impero.
Scusate ma devo essermi distratto solo un momento…
Chi parlava di cose buone fatte dal fascismo?
Gli orrori di quegli anni li abbiamo pagati con sangue e distruzioni e lenta e dura è stata la ripresa.
Ma quello che deve farci indignare ancora oggi è che qualcuno non capisca come questa cultura del revisionismo generi malefici effetti in quanti, per ignoranza o altro, vorrebbero riattualizzare quelle idee e quei metodi che produssero i dolori e i disastri la cui memoria niente e nessuno potrà mai cancellare dalle menti e dalla storia.
Gli epigoni di quegli esseri violenti ed arroganti sono, purtroppo, ancora fra noi e si beano e si nutrono anche di queste aperture e di questi accrediti che incoscienti e pericolosi personaggi pubblici offrono loro.
Noi dobbiamo dire basta. Noi abbiamo il dovere di far ricordare a tutti cosa sono veramente stati quegli anni ed impegnarci perché neanche in infinitesimale parte possano tornare ad obnubilare le menti e a torturare i corpi.
In questo quadro, fa riflettere un episodio avvenuto, giorni fa, in una scuola italiana.
Mi racconta un’insegnante che un bambino non ha voluto partecipare alle manifestazioni per il Fridays for future perché il papà gli aveva detto che erano da evitare in quanto uno dei canti del movimento utilizzava la musica di Bella Ciao e poiché quello era un canto antifascista….
E questo da la cifra della china in cui si sta avviando il mondo in questo tempo. Il mondo e non solo l’Italia perché dobbiamo guardare anche fuori dai nostri confini.
Le recenti stragi in Nuova Zelanda, i cimiteri profanati in Francia, le uscite di Trump tese a sminuire la portata reale dell’attentato di Charlottesville, i continui tentativi volti a sdoganare gruppi e gruppuscoli neonazi trasversalmente uniti al Klu Klux Kan in fase di riemersione in molte zone degli USA, l’antisemitismo crescente in tanti paesi dell’ex impero sovietico, i conflitti religiosi che si rinfocolano in Africa, in Medio Oriente e non solo, le troppe guerre di cui nessun parla perché si darebbe fastidio a chi vende armi a questa o a quella parte o, peggio, a tutte due le parti…
Jean Paul Sartre affermava “Si è sempre responsabili di quello che non si è saputo evitare”.
Ricordiamocelo ed evitiamo che torni ad inquinare l’aria l’immondo puzzo della pulizia etnica.
Ricordiamocelo per noi, per il Paese, per il mondo, per i nostri figli.