8 marzo: ricominciamo la battaglia per i diritti

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

Un giorno cerchiato sul calendario. Un giorno necessario finché le donne saranno vittime di discriminazione e violenza per non dimenticare e andare avanti sulla strada della completa emancipazione e della totale liberazione. Una giornata che nasce per ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, quel lento e silenzioso fiume carsico che ci ha reso come siamo e non ancora (o non del tutto) come vorremmo essere.

Celebriamo conquiste che non dobbiamo dare per scontate, che sono state il frutto di lotte pazienti e faticose, portate avanti da donne tenaci che hanno voluto cambiare il mondo in cui vivevano con forza e determinazione perché credevano nel progresso e nella possibilità di una continua evoluzione verso il meglio.

Il primo grande evento celebrativo dei diritti e delle conquiste femminili è avvenuto nel 1972, in Piazza Campo de’ Fiori a Roma e fu in quella occasione che ebbe inizio la battaglia per la conferma del divorzio (due anni dopo si svolse il referendum e l’Italia allora massicciamente cattolica smentì i promotori che lo avevano voluto facendo riferimento ai settori più integralisti) e per il varo della legge sulla disciplina e la legalizzazione dell’aborto (la lotta ai “cucchiai d’oro”).

Erano gli anni Settanta, era appena passato il Sessantotto e in Italia, soprattutto nel centro-nord, prese piede il movimento femminista. Un movimento di condivisione e di riscatto che raggiunse il suo apice proprio l’8 marzo del 1972.

Ventimila donne a Campo de’ Fiori. Cartelli tenuti in mano. ”Legalizzazione dell’aborto”, ”Matrimonio prostituzione legalizzata”. Ventimila donne che gridano slogan per la propria libertà e indipendenza. Si passavano tra le mani un volantino sul quale c’era scritto “non siano lo Stato e la Chiesa ma la donna ad avere il diritto di amministrare l’intero processo della maternità”. I celerini manganellarono le manifestanti. La notizia suscitò un enorme clamore. Manganellarono quelle ragazze che urlavano chiedendo il diritto di essere padrone del proprio corpo, convinte che non fosse fatto solo per essere usato. Provavano rabbia per una realtà e scesero in piazza piene di fantasie e speranze.

Fu un punto di partenza storico, in cui emersero, finalmente, le necessità, le esigenze, le emozioni e le ribellioni di una generazioni di ragazze che non voleva gestire la stessa vita delle proprie mamme o delle nonne.

Capirono che quella rabbia era necessaria. Capirono anche che insieme erano più forti. Camminare divise era un modo per stare dalla parte di chi il cambiamento non lo voleva. Insieme si potevano compiere passi decisivi per l’umanità.

Donne che possono essere ancora oggi a noi di grande esempio per battersi contro quegli stereotipi, contro la violenza a cui è stato dato il nome di femminicidio e contro l’assenza di tutele e di garanzie nel mondo del lavoro. E per i diritti, molti dei quali ancora negati da una dinamica politica che non avendo più un partito cattolico di riferimento, spinge diverse forze politiche a cercare l’accreditamento presso le Gerarchie con atteggiamenti di subalternità culturali addirittura peggiori di quelli che segnarono la vita della Democrazia Cristiana. Oggi come ogni giorno per rendere il mondo un posto migliore.

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