– di MAURIZIO BALLISTRERI –
Uno degli aspetti del sindacalismo a livello internazionale non adeguatamente studiato dalla storiografia e della stessa cultura del lavoro, è il riformismo sindacale tra Italia e Stati Uniti.
Infatti, gli studi hanno in larga parte indagato la svolta della Cisl del 1953 sulla contrattazione articolata e il business unionism di questa organizzazione, con il modello sindacale basato sulla contrattazione e l’associazionismo, scevro da ogni riferimento ideologico, del sindacalismo americano dell’Afl di George Meany prima dell’unificazione con il Cio.
Invece, esiste anche un’altra linea di congiunzione dei sindacalismi tra le due sponde dell’Atlantico, quella riformista.
Il 19 gennaio scorso è stato l’anniversario della scomparsa di Italo Viglianesi, avvenuta nel 1995, fondatore e primo segretario generale della Uil. Viglianesi, il 5 marzo 1950 con un pugno di coraggiosi, provenienti da esperienze politiche e sindacali diverse, socialisti autonomisti, repubblicani, saragattiani, dirigenti legati all’esperienza del sindacalismo nazionale rivoluzionario organizzati attorno alla rivista “Il Lavoro Italiano”, sindacalisti indipendenti diedero vita all’Unione Italiana del Lavoro (tra questi mi piace ricordare mio padre Giorgio Ballistreri), contro la logica della guerra fredda e della polarizzazione ideologica in campo sindacale.
L’opera di Viglianesi e la nascita della Uil, dopo decenni di scarsa attenzione, sono state oggetto di ampi e importanti studi da parte della Fondazione Buozzi presieduta da Giorgio Benvenuto, leader storico del sindacalismo italiano e internazionale.
La Uil ha rappresentato il riformismo nel sindacalismo italiano, con Viglianesi che riprese le tesi laburiste della Cgdl prefascista guidata da Rinaldo Rigola, del controllo operaio di Bruno Buozzi e in campo giuridico della Costituzione “sociale” di Weimar, con un’originale proposta di “democrazia del lavoro” secondo lo spirito costituzionale, fondato sulla collaborazione alla gestione delle aziende, proponendo la contrattazione di settore quale “terza via” nella contrapposizione tra Cgil e Cisl su centralizzazione e decentramento contrattuali. A livello di economia poi, Viglianesi sostenne la programmazione economica e la politica di piano del primo centro-sinistra, politicamente impegnato per l’unificazione tra Psi e Psdi e per il “sindacato socialista”, avendo sempre a livello di scenario internazionale l’Europa e la scelta atlantica.
Walter Reuther fu un membro del partito socialista americano, che sostenne il New Deal di Franklin Delano Roosevelt contro le ingiustizie sociali della società statunitense, leader del sindacato dell’auto Uaw e successivamente del Cio, l’altra grande centrale sindacale americana. Proprio Reuther fu protagonista della riunificazione tra Afl e Cio con la convenzione di New York del dicembre 1955, eletto vicepresidente e leader dell’Industrial Union Department (Dipartimento dei sindacati industriali).
La filosofia di Reuther era favorevole al dialogo tra governo, imprenditori e sindacato, che avrebbero “irrobustito forme di cooperazione e negoziazione per garantire relazioni industriali scorrevoli e ordinate, una riconversione guidata verso il mantenimento del pieno impiego, alti livelli salariali e possibilmente, una ripresa del riformismo sociale newdealistico”. E il presupposto necessario per mantenere queste condizioni era la crescita dell’economia e degli scambi commerciali che divenne per il Cio un obiettivo della propria strategia sindacale. Proprio Reuther, contrariamente alla politica di ostraicismo dell’Afl, appoggiò lo sviluppo della Uil ed il suo ingresso nell’Internazionale dei sindacati liberi, Icftu. E nel nostro Paese, è stato annunciato di recente da parte del sindacalismo comunitario e di prossimità, una valorizzazione del pensiero e delle lotte sindacali di Reuther.
Viglianesi e Reuther dunque, idealmente e concretamente, hanno rappresentato il riformismo sindacale al di qua e al di là dell’Atlantico, tra Italia e Stati Uniti, condividendo la matrice ideologica, il socialismo, e l’azione contrattuale per gli interessi dei lavoratori (con un’opzione per il settore tra categoria e azienda) legata al quadro macro-economico complessivo in cui fondamentale veniva ritenuto, a ragione, l’intervento pubblico per redistribuire ricchezza, combattere diseguaglianze, creare occupazione.
Due leader sindacali che tanto hanno da indicare al sindacalismo del nostro tempo, che abbisogna di idee, programmi e nuova capacità di mobilitazione.