Dalla musica al dialogo interculturale

– di PIERLUIGI PIETRICOLA –

È un periodo in cui è la musica ad interessarmi in modo particolare. Da sempre, chi scrive, è un melomane. Eppure questa passione è rimasta sopita, a lungo in discreta disparte senza mai risvegliarsi in modo così prepotente. Le ragioni di una tal recrudescenza non si possono sapere, e indagarle equivarrebbe a renderle meno interessanti. È preferibile vivere il momento senza volerlo intellettualizzare ad ogni costo.

È grazie a questo ritrovato interesse per il meraviglioso universo dei suoni, delle melodie e delle armonie, che due concetti mi sono magicamente venuti incontro e sui quali val la pena riflettere, soprattutto in questi tempi. Essi son stati espressi da due direttori di orchestra, entrambi immensi e geniali per ciò che hanno fatto e per il loro contributo, sul versante artistico e delle idee: Claudio Abbado e Leonard Bernstein.

Di Abbado ricorre, in questi giorni, l’anniversario della sua morte (avvenuta cinque anni fa). In occasione di una sua partecipazione televisiva, il grande Maestro d’orchestra ebbe a dire che i limiti e la paura non esistono. Sono pure creazioni mentali inventate a bella posta dall’individuo, e che non fanno che bloccarlo in tutto ciò che potrebbe creare o realizzare. Sicché, tanto vale mettere da parte questo ciarpame e vivere senza, così scoprendo immense distese presso le quali volgere sguardo e mente.

In un’immaginaria conversazione, gli fa eco Leonard Bernstein in uno scritto del 1948 – Dialogo con… – raccolto in un libro da poco tradotto in italiano per Il Saggiatore: Scoperte. Ecco il passo in questione: “Mi piacerebbe vedere aboliti tutti i confini. Bramo la fine di passaporti, permessi, dichiarazioni, tariffe, ispezioni e bandiere. Voglio quello che Wilkie chiama Mondo unico, quello che la Chiesa chiama fratellanza universale in Dio, quello che i comunisti chiamano Internazionale, gli industriali Libero commercio, i democratici Uguaglianza, i maestri yoga Essere parte del tutto. Penso che ognuno desideri questo in qualche modo, ma la paura fa molto. E, al momento, la paura sembra perdurare”.

Sono parole, quelle di Abbado e di Bernstein, che paiono formulate appositamente per i tempi odierni. Il motivo della loro contemporaneità non risiede in una coincidenza di avvenimenti, e neppure dal fatto che le epoche in cui i due geniali musicisti sono vissuti presentano similarità con la nostra. Dov’è, allora, la loro genialità? Nella semplicità e – sia detto senza alcuna sfumatura negativa – ovvietà. Elementi che rendono tali idee tutt’altro che banali. In questo insieme di splendore e purezza risiede la grandezza autentica di un pensiero.

Ciò detto, non occorre essere più espliciti. I giornali sono pieni di notizie che riguardano la disumanità con cui vengono trattati gli immigrati che, per tutte le ragioni più comprensibili e condivisibili del mondo, affrontano pericoli immani in cerca di condizioni di vita migliori. Nulla impedisce un atto di maggiore comprensione di tali dinamiche e situazioni. Nulla, eccetto i limiti che si decide di imporre per non consentire un naturale processo raziocinante. Fra i vari preconcetti, vi sono da includere anche quelli dettati da mere prese di posizione ideologiche: pensieri che nulla hanno di concreto, né prima né dopo la loro formulazione. Essi non sono che fatua chiacchiera.

Sarà perché la musica è un linguaggio esperito nella sua autenticità e che abitua a pensare in termini di analogie, ma anche di differenze come occasione di arricchimento individuale, che parole come quelle di Bernstein e Abbado rappresentano – per chiunque lo voglia – un ottimo punto di avvio in un esercizio di pensiero degno di tal nome.

Questo per dire che qualora si trovassero difficoltà nell’instaurare un dialogo con chi palesa diversità da noi, sarà sufficiente affidarsi al mondo dei suoni e cominciare il dialogo da lì. Non solo servirà a superare barriere sciocche ma, scoprendo che si tratta di limiti inesistenti in natura perché posti dall’uomo stesso, potrebbe essere l’avvio di un dialogo interculturale vero, al di fuori di ogni banale retorica.

pierlu83

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