Liberaldemocrazia vs democrazie illiberali

-di MAURIZIO BALLISTRERI-

Ha destato scandalo qualche settimana or sono l’opzione del premier ungherese Viktor Orban per la cosiddetta “democrazia illiberale”.

In realtà, si tratta di un modello non nuovo, già descritto dalla scienza politologica negli scritti del commentatore Fareed Zakaria, che la elaborò nel 1997, secondo cui le democrazie illiberali limitano, o anche cancellano, le libertà, politiche e civili, ma non le procedure formali con cui si compiono le scelte pubbliche: i parlamenti non vengono soppressi e si tengono regolarmente le elezioni a suffragio universale. Al contrario, la democrazia illiberale esalta la volontà del popolo quale fonte di potere assoluto, che come tale non può subire intralci da minoranze, opposizioni, controlli giudiziari e mediatici, costituzioni e poteri di controllo, con un’evidente contraffazione, di tipo populistico, del principio di “volontà generale” elaborato da Rosseau.

E a questo modello sono ascrivibili gli attuali sistemi politici non solo dell’Ungheria ma anche della Polonia, paesi dell’Unione europea ma che hanno come paradigma la “democratura” della Russia, che potrebbe estendersi anche in Sud-America, dopo la vittoria di Jair Bolsonaro alle presidenziali in Brasile. D’altronde, Hitler non andò al potere attraverso libere elezioni, sfruttando la reazione del grande capitale tedesco e del reducismo contro la giovane democrazia di Weimar? E la stessa democrazia dell’Atene di Pericle, non consentiva la partecipazione all’assemblea dei cittadini, l’Ecclesia, solo ad una élite, mentre stranieri, schiavi e le donne non godevano di diritti politici?

Il problema è quello osservato da Tocqueville ne “La democrazia in America”, secondo il quale in democrazia si può originare la “dittatura della maggioranza”, non dissimilmente da Polibio che elaborò il concetto di “Oclocrazia” nel II secolo

a.c., fondato sul governo della moltitudine.

Per questo, nel secondo dopoguerra nell’area dei paesi occidentali si è diffuso il modello liberaldemocratico, fondato sì sul suffragio universale e sulle maggioranze parlamentari, ma con sistemi costituzionali di garanzie, per tutelare le libertà, non solo politiche e civili ma anche economiche e sociali, su quest’ultimo versante, le “libertà dal bisogno”, con le liberaldemocrazie di tipo “progressivo”, secondo lo schema “Keynes-Bedverige”. A tal proposito il grande giurista austriaco Hans Kelsen sostenne il rapporto inscindibile nei sistemi democratici tra giustizia costituzionale e democrazia: “la giustizia costituzionale si configura come uno strumento posto a difesa delle minoranze nei confronti delle manifestazioni di volontà, contrarie alla costituzione, della maggioranza parlamentare, come argine alla nascita di una “dittatura della maggioranza”.

Attenzione che uno strumento di affermazione, soft e non brutale, delle democrazie illiberali potrebbe essere l’abuso delle nuove tecnologie digitali e dei social, con la possibilità che si determinino processi di controllo e di manipolazione da parte di gruppi, politici od economici, di natura oligarchica. Né si può pensare che possano esistere paesi immuni da processi involutivi della democrazia: si guardi alla situazione italiana, punto di arrivo della ventata dell’antipolitica dei primi anni ’90 del Novecento, che, sostenuta dai grandi poteri economici e finanziari e dai media, ha condotto all’attuale sistema politico fondato sul (presunto) rapporto diretto fra popolo e leadership, con la personalizzazione spinta fino a forme di vero e proprio “divismo” politico, senza il tradizionale equilibrio tra i diversi livelli istituzionali, né l’intermediazione di partiti e organizzazioni sociali: un possibile humus per una democrazia illiberale.

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