Il comunitarismo per rilanciare il mezzogiorno: l’ipotesi della macroregione mediterranea

-di MAURIZIO BALLISTRERI-

La crisi delle grandi narrazioni imposte dalla cultura postmoderna al termine del secolo scorso, con il suo collasso ideologico, deve consentire una nuova sfida per il III millennio: quella degli interessi dei Popoli europei, della comunità nazionale italiana e delle comunità etno-culturali sui territori.

Il capitalismo finanziarizzato e globalizzato, edulcorato da un cosmopolitismo di facciata, ha disgregato le identità dei Popoli in una logica fondamentalmente anti-sociale. E in questo contesto Ralf Dahrendorf, il grande sociologo anglo-tedesco, per descrivere questi processi (e queste contraddizioni) parlò di “glocalizzazione”, dicendo “Noi sappiamo che la globalizzazione è intrinsecamente una tendenza ambigua, duale, nella quale la gente è attratta verso il più vasto mondo ma anche verso il conforto del vicino più prossimo. Essa ha dunque prodotto anche un rafforzamento della spinta verso il locale, un’aspirazione a portare le decisioni a quel livello”.

Sull’asse globale-locale è possibile tracciare le coordinate sociologiche, economiche e di relazione di una nuova geografia dello sviluppo.  Si tratta di una “geografia variabile” che prescinde dai confini politici e amministrativi ed è invece definita dai rapporti sociali, economici e produttivi che caratterizzano i singoli territori. Sono, infatti, i territori, i sistemi locali ad entrare in competizione su un orizzonte globale, con l’emersione di nuovi assi di sviluppo; non si tratta di sostituire nuovi localismi a quelli di più antica data ma, al contrario, di trovare nello sviluppo e nella apertura al “globale” le condizioni per rinsaldare la coesione sociale ed il tessuto relazionale dell’area, secondo il nuovo schema della “globalità” in cui ex colonizzati, il Brasile e l’India a  livello internazionale ad esempio, il nostro Mezzogiorno e la nostra Sicilia in prospettiva in Italia, possono diventare soggetti attivi.

Anche la politica deve prendere atto di questi mutamenti, in quanto i processi di glocalizzazione ridisegnano i problemi della rappresentanza in un duplice senso: territoriale, in quanto fa convivere su uno stesso territorio una pluralità crescente di identità, appartenenze, rappresentanze; funzionale, in quanto fa emergere e valorizza forme di rappresentanza non per territori, ma per funzioni trasversali ai territori.

Può essere il comunitarismo con i suoi strumenti istituzionali, il modello per un nuovo rapporto tra globale e locale? Il dibattito è aperto, poiché unità geopolitiche autocentrate potrebbero costituire la risposta al falso problema della dicotomia tra globalizzazione e localizzazione.

Torna alla memoria quel grande laboratorio politico, sociale ed economico che fu la straordinaria esperienza di “Comunità” di Adriano Olivetti, fondato su di una unità politico-territoriale di base, sufficientemente piccola e tale da consentire congiuntamente un’identificazione con le comunità degli interessi locali ed un livello di controllo democratico dal basso dell’intero processo legislativo ed esecutivo.

E’ l’idea dell’autorganizzazione politica e sociale e della responsabilità dal basso, che, però, abbisogna di una classe dirigente credibile ma anche, e forse soprattutto, di consapevolezza della gente sul territori, che nel Mezzogiorno dovrebbe tradursi in difesa delle radici storiche e delle identità culturali, sostegno ai corpi intermedi sociali tra Stato e mercato, decentramento dell’economia, in primo luogo delle banche in funzione dell’accesso al credito dei singoli cittadini e delle piccole imprese, welfare locale messo a rischio in termini di secessione sociale dal mercato globalizzato.

Un progetto concreto nella prospettiva dell’idea di comunità e dell’autorganizzazione politica e sociale è la creazione della Macroregione del Mediterraneo.

Infatti, una nuova politica meridionalista potrebbe avere come asset fondamentale la Macroregione del Mediterraneo, da costituire con le aree di altri paesi europei contigui territorialmente, puntando sulla utilizzazione dei fondi europei con un’unitaria strategia di sviluppo, quale elemento di unificazione degli interessi delle regioni meridionali: i 96 miliardi tra fondi europei e nazionali che il Meridione deve spendere entro il 2023 per nuove infrastrutture, necessitano di progetti infrastrutturali interregionali, che solo una Macroregione può programmare e realizzare, nell’ambito della linea euromediterranea del libero scambio.

E’, in definitiva, la ripresa del “Pensiero Meridiano”, del quale siamo debitori alla elaborazione teorica di Franco Cassano, secondo cui, giustamente, il Sud deve essere soggetto del pensiero e non oggetto della riflessione altrui. Di solito viene rappresentato un Sud visto dal Nord, un Sud sbracato, mafioso, clientelare, che calpesta la legalità: un Sud visto con occhi “nemici” e “interessati contro”. Il Mediterraneo al quale il “Pensiero Meridiano” si rivolge (il Sud visto dal Sud e non con occhi del Nord) è il contrario del campanilismo e del localismo e costituisce l’incontro tra globale e locale, tra una visione non provinciale e la riscoperta delle radici storiche e culturali dei luoghi, é la visione di un Mediterraneo che crea prospettive di sviluppo, attraverso il confronto e l’alleanza con i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, per un nuovo meridionalismo.

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