-di MAURIZIO BALLISTRERI-
Sarebbe logico attendersi, rispetto a quella che appare una crisi profonda della sinistra italiana, la volontà di voltare pagina rispetto alla deriva liberista e mondialista del Pd e alle logiche politiciste di Liberi e Uguali. E, invece, niente! Mentre in Europa e nel mondo si rilanciano le idee, i valori e i programmi per una società “diversamente ricca” come sosteneva Riccardo Lombardi, con la riscoperta di filoni di cultura politica che vanno dalla concezione riformista e libertaria del socialismo di Carlo Rosselli, all’idea della transizione democratica al socialismo dell’Austro-Marxismo di Otto Bauer (le cui tesi in Italia furono introdotte da Giuseppe Saragat) e di Rudolf Hilferding con la sua critica al capitalismo finanziario, alle suggestioni radicali e libertarie di Rosa Luxemburg e a quelle autogestionarie di Pierre-Joseph Proudhon (che come ha sottolineato di recente L’Espresso, vennero lanciate da Bettino Craxi 40 anni or sono nel dibattito politico e culturale della sinistra italiana, al tempo sotto la coltre ideologica del leninismo), al pensiero economico della scuola postkeynesiana di Cambridge (di Joan Robinson e Nicholas Kaldor), sino alle stesse analisi economiche di Marx sullo sfruttamento del lavoro attraverso il plus-valore.
E così, nella sinistra mondiale si affermano leader con programmi dichiaratamente socialisti come il premier spagnolo Pedro Sanchez e quello portoghese Antonio Costa, e in Inghilterra con Jeremy Corbin dato con il suo Labour Party vincente alle prossime elezioni politiche, sino agli Stati Uniti. E sì, perché oggi più che mai, il socialismo si sta facendo strada nella “patria del capitalismo”. Una volta venne chiesto allo scrittore americano John Steinbeck perché non esistessero movimenti socialisti negli Stati Uniti. Lui rispose che il problema stava nel sogno americano stesso: “Il fatto è che i poveri non vedono se stessi come membri oppressi del proletariato, bensì come milionari temporaneamente in difficoltà”. Il progresso personale, l’idea di “farcela da sé”, erano un sogno ancor più grandioso dell’insurrezione collettiva delle masse affollate. Gli Stati Uniti non hanno mai avuto un partito socialdemocratico popolare, né un partito dei lavoratori. Oggi, dopo la crisi del 2008, generata dai perversi meccanismi finanziari “inventati” dagli squali di Goldman Sachs, Morgan Stanley, Merrill Lynch, che per fare soldi senza soldi, scommettendo sulla povertà altrui (derivati, sub-prime), hanno determinato una catastrofe finanziaria su scala globale (agevolata dalla privatizzazione della politica e dall’abiura della sinistra a livello planetario della propria funzione di rappresentante dei ceti più deboli), decidendo così sul destino non solo delle Borse, ma anche dei singoli Stati quindi sulla vita delle singole persone, nello schieramento democratico si esalta la battaglia “socialista” di Bernie Sanders e si affacciano nuovi leader come la 28enne Alexandria Ocasio-Cortez, il cui programma elettorale è davvero radicale per gli standard made in Usa.
C’è l’idea della casa come diritto umano e il reddito minimo di 15 dollari l’ora, con pensione e indennità di malattia garantite; la riforma della legge sul finanziamento delle campagne elettorali e la creazione di un percorso di ottenimento della cittadinanza per i migranti; l’assistenza sanitaria universale e la rimozione delle tasse universitarie, nonché la cancellazione del debito studentesco (che ammonta a 1400 miliardi di dollari); sono poi previsti investimenti sulla sostenibilità ambientale basati sul Piano Marshall. Un progetto allettante per i millennials, che guadagnano il 20% in meno dei loro genitori, in genere non riescono a permettersi una casa, dipendono sempre di più dai servizi pubblici e sono chiaramente meno propensi a sposare la mentalità capitalistica, sia nella versione protezionistica di Trump che in quella globalista di Hilary Clinton.
In Italia, invece, ritornano sul proscenio quei dirigenti che hanno affossato la sinistra italiana. Ed ecco Walter Veltroni, detto “l’amerikano”, che tifava Clinton e Tony Blair e che oggi è ricomparso sulle scene e subito si è prodigato a fare l’elogio di un militarista come lo scomparso senatore statunitense McCain, qualificandolo come un “eroe”.
Nessuna autocritica nelle parole pronunciate nel corso della cosiddetta lectio magistralis (di che?) alla Festa dell’Unità di Ravenna per gli errori drammatici compiuti dal Pd, a dieci dalla sua fondazione, lungo l’asse Veltroni-Renzi: la cancellazione dal lessico della sinistra autodefinitasi “liberal” del conflitto sociale a fini redistributivi, la disintermediazione (complice anche l’inanità dei sindacati), la riduzione dei diritti del lavoro con il Jobs Act, la distruzione della scuola pubblica, la fine del tema del Mezzogiorno, l’accettazione nei fatti dell’austerity imposta dalla Germania all’Unione europea, sostituiti dall’illusione politicista del “partito a vocazione maggioritaria”, che avrebbe dovuto sublimarsi con il tentativo, bocciato dal Popolo, di cambiare il paradigma della nostra Costituzione basato sulla democrazia parlamentare.
Solo un mieloso discorso, senza riferimenti storico-culturali e ai ceti sociali che si vorrebbe rappresentare, ma una mesta giaculatoria sui rischi che correrebbe la democrazia. Parafrasando Montanelli, a proposito delle cicliche ricomparse di Amintore Fanfani, “rieccolo”, un personaggio, Veltroni, che oggi si ripresenta in un momento delicato, sotto gli auspici degli ambienti globalisti italiani ed europei, in testa il Gruppo Espresso/La Repubblica con i sermoni domenicali di Eugenio Scalfari, con la mente alle riunioni del Bildelberg o alle Fondazioni di Soros, che cercano qualcuno per rappresentare la sinistra (si fa per dire!) dei mercati dopo il fallimento colossale del “Macron di Rignano sull’Arno” Matteo Renzi, per spianare la strada magari al commissariamento del Paese da parte della Troika come è avvenuto per la Grecia, con i drammi sociali che hanno colpito il popolo ellenico, un “golpe bianco” per un Paese come l’Italia, che ha già dovuto subire una drammatica sospensione democratica allorquando arrivò, con la regia dell’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il tecnocrate Mario Monti.
La sinistra italiana ha bisogno di un cambio strategico di cultura politica e di programmi, per sposare finalmente il socialismo a partire dal nome, poiché nomina sunt consequentia rerum, con nuovi dirigenti e con una vera rifondazione che accolga la grande domanda sociale che viene dal Paese reale.