50 anni fa la fine di “Bobby” Kennedy, il presidente che avrebbe difeso gli ultimi

-di GIULIA CLARIZIA-

Una piccola lastra di marmo bianco nella quiete del cimitero di Arlington. La tomba di Robert Kennedy, a pochi passi da quella del fratello John Fitzgerald, è di una solenne modestia. La tragica sorte che ha legato i due è nota: morti violente che hanno sconvolto l’America e il mondo.

Bob aveva poco più di quarant’anni quando fu ferito a morte da un giovane estremista palestinese subito dopo un breve discorso pronunciato per i suoi sostenitori durante la campagna presidenziale.

Seguendo le orme del fratello maggiore, dopo una brillante carriera che lo aveva visto prima in marina, poi ministro della giustizia, e poi ancora senatore, Robert aveva deciso di candidarsi per le elezioni del 1968.

Tra gli elementi caratterizzanti la politica che già aveva portato avanti come ministro della giustizia, e che animarono la sua campagna elettorale, fu di primo piano la sua attenzione per i diritti civili.

Nel 1961, in un discorso presso la facoltà di legge dell’università della Georgia, egli aveva parlato a favore dei provvedimenti presi nel 1954 che avevano reso incostituzionale la segregazione razziale nelle scuole. Fu sostenitore delle idee di Martin Luther King, anch’egli vittima di uno di quei proiettili politici che hanno tristemente caratterizzato quegli anni.

La passione con cui Robert appoggiò la lotta per i diritti civili, nonché la posizione da cui lo faceva, non potevano che portargli dei nemici. Tra questi, sicuramente spicca il nome del direttore dell’FBI J. Edgar Hoover, accanito oppositore di King. Fu proprio Hoover a comunicare a Bob la tragica notizia dell’attentato al fratello- c’è chi dice- con un velo di soddisfazione.

Oltre a ciò, egli difendeva i diritti dei lavoratori, dei nativi americani, di quegli “esclusi” che la società soleva dimenticare.

Durante l’amministrazione Jhonson, cercò di portare avanti un piano per la conclusione della guerra del Vietnam, attirando su di sé le già esistenti (reciproche) antipatie del presidente, che vedeva nell’azione di Robert un tentativo di minare la sua autorità. Nonostante questo, in campagna elettorale non sostenne il ritiro delle truppe, bensì la volontà di dare una svolta alla guerra che permettesse una pace onorevole.

Nel 1968, anno di fermento giovanile, Robert Kennedy si rivolgeva proprio alle giovani generazioni facendosi portavoce di un vento di cambiamento ispirato ai principi della giustizia sociale ed economica.

Con il senno di poi, si può dire che egli incarnava lo spirito dei tempi. Sarebbe stato un grande presidente, ma la storia ha voluto diversamente.

 

giuliaclarizia

Rispondi