-di MAURIZIO BALLISTRERI-
La caduta in Spagna del governo conservatore, con forti tratti repressivi, di Rajoy e il ritorno alla guida del Paese dei socialisti guidati da Sanchez, deve fare riflettere la sinistra europea e italiana, poiché dimostra che la sconfitta della socialdemocrazia non è inevitabile, ma dipende dalla capacità di rilanciare i valori socialisti, che vanno adattati alla nuova società, in luogo di una subordinazione, in primo luogo culturale oltre che politica, all’egemonia del mondialismo e della finanza globale.
In Europa d’altronde, Jeremy Corbyn, deriso da tutti i benpensanti che lo consideravano il portabandiera di una vecchia sinistra passatista in Gran Bretagna, ha rilanciato un movimento di sinistra che ha la propria base sociale tra i giovani e tra i lavoratori, facendo perdere la maggioranza assoluta ai conservatori e aprendo al Labour Party la prospettiva di governare sulla base di un programma di sinistra. E il Portogallo cresce, socialmente ed economicamente, con un’alleanza di sinistra guidata dai socialisti.
E questo quadro di rinascita di alcuni partiti socialisti in Europa, altri sono drammaticamente in crisi. Il Pasok in Grecia è scomparso, dopo la sua alleanza con i conservatori durante la drammatica crisi imposta dalla Troika; il socialismo olandese a sua volta, tendente verso politiche di mercato, ha subito un disastro elettorale, mentre le politiche neoliberiste di François Hollande, guidate dall’allora ministro delle Finanze Emmanuel Macron (oggi all’Eliseo), hanno ridotto al minimo storico il Partito socialista francese.
Una serie di sconfitte elettorali il cui presupposto risiede in un elemento che accomuna gran parte del socialismo europeo, in primo luogo la Spd in Germania: se la sinistra, anche di orientamento moderatamente riformista, pratica politiche economiche e sociali di tipo liberista, perde il suo elettorato tradizionale, che viene attratto dalle falene del nazional-populismo in grado di esorcizzare l’insicurezza sociale, e non cattura i voti della destra popolarista e conservatrice.
L’elettorato tradizionale di sinistra ha punito gran parte dei partiti di ceppo socialista, per politiche economiche e sociali fondate su aumenti delle tasse, modifiche in peggio al sistema di previdenza pubblica e al welfare State, con l’allungamento della vita lavorativa e il taglio delle pensioni e la riduzione dei diritti del lavoro, accettando supinamente il modello liberistico del “Washington consensus”, la dottrina economica americana imposta a livello planetario dalle politiche del Fondo Monetario Internazionale e dalle agenzie di rating e in Europa dal monetarismo di Frau Merkel e della Banca centrale europea.
Il Pd in Italia, soprattutto dopo la sconfitta alle elezioni del 4 marzo e la formazione del governo “giallo-verde”, paga per intero il paradigma della sinistra europea che ha sposato la destra liberista e tecnocratica travestita da centrosinistra blairiano. E’ stata sconfitta drammaticamente la linea Veltroni-Renzi, che ha relegato il conflitto sociale negli scantinati della storia, guardando acriticamente alle “magnifiche sorti e progressive” del capitalismo globale, come testimoniano la “Buona-scuola” e il “Jobs Act”.
La sinistra in Europa e in Italia si trova in crisi perché non ha saputo dare una risposta alla globalizzazione capitalistica contestuale alla rivoluzione digitale. Processi, questi, che hanno accresciuto a dismisura il divario tra ricchi e poveri. Da qui l’impotenza della sinistra, che lo storico Valerio Castronovo chiama, in suo recente libro, “L’autunno della sinistra in Europa”.
Se la sinistra nel nostro Paese vuole rinascere deve, in primo luogo, recuperare per interno la tradizione del socialismo italiano ed europeo, legata al modello Keynes-Bedveridge, pena la definitiva uscita di scena dalla politica nazionale, con i “giallo-verdi” che rappresenteranno anche l’elettorato un tempo legato ai valori della cultura democratico-progressista del ‘900.