Le Madri di un’Italia migliore

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

Oscar Wilde diceva: “Date alle donne occasioni adeguate ed esse saranno capaci di tutto.” Il primo gennaio di settant’anni fa entrò in vigore la nostra Costituzione.

Le donne collaborarono a cambiare il destino di una Nazione scegliendo tra Monarchia e Repubblica ed eleggendo l’Assemblea Costituente. Contadine o insegnanti, casalinghe o impiegate, artiste o con una carriera politica alle spalle, le donne che votarono per la prima volta sono diverse tra loro per provenienza, estrazione sociale, istruzione e opinioni, ma tutte ricordano ancora con emozione il primo voto e la sua importanza.

Dopo anni di lotta da parte delle suffragette, le donne italiane vennero ammesse al voto per la prima volta. Un momento epocale ed emozionante per le ragazze del 1946 che in queste lotte ci hanno sempre creduto. Una conquista civile da parte delle donne. Considerate uguali agli uomini, almeno nella possibilità di esprimere il loro voto. Tra le macerie lasciate dalla guerra la voglia di ricominciare era tanta. Per la prima volta le donne potevano prendere parte attivamente alla vita politica. Tra addottrinamenti familiari e moniti ecclesiastici avevano finalmente conquistato la libertà di scegliere, di esprimere i loro ideali, le loro aspettative, i loro progetti protette dal segreto dell’urna. Loro, quelle stesse donne che non potevano accedere a molti ruoli della Pubblica Amministrazione (erano escluse dalla magistratura e dalla diplomazia, per esempio), loro che erano sempre sotto la patria podestà di un qualcuno (prima il padre e poi il marito), loro che rischiavano il licenziamento se volevano sposarsi, loro che valevano meno dei loro colleghi maschi (a parità di lavoro, le donne ricevevano un salario inferiore a quello degli uomini) e che non vedevano riconosciuta la parità neanche all’interno della famiglia (l’uguaglianza tra moglie e marito come anche tra genitori nei confronti dei figli verrà stabilita solo con il Nuovo Codice di Famiglia del 1975). Loro quel 2 giugno votarono in massa.

Non solo le donne poterono votare ma poterono diventare parte attiva di quel processo che segnò un vero e proprio momento di svolta. Furono 21 le donne elette su 556 deputati, e 5 furono quelle che fecero parte della commissione dei 75 che ebbero l’incarico di redigere la nostra Carta costituzionale, tra cui ricordiamo Nilde Iotti, che diventerà la Presidente della Camera dei deputati e fu confermata per ben tre legislature: comunista, è stata durante la Resistenza prima responsabile dei Gruppi di Difesa della Donna e poi porta-ordini.

Una grande svolta. Una donna Presidente della Camera dei Deputati. Da lì tutto iniziò, con un’ottica finalmente anche femminile che ha avuto la capacità di contribuire con forza e determinazione alla stesura di articoli importanti della Costituzione. Dal 1950 in poi sono avvenute, grazie a loro, conquiste fondamentali legate ai temi dei diritti e delle tutele alle lavoratrici madri, all’apertura possibile della carriera in magistratura, al divorzio del 1970 poi confermato con il referendum del 1974. Di quelle 21 donne nove erano comuniste, nove democristiane, due socialiste e una era stata eletta tra i candidati dell’Uomo Qualunque. Quasi tutte laureate, alcune insegnati, alcune giornaliste e una casalinga.

C’era Adele Bei (condannata nel 1934 dal Tribunale speciale a 18 anni di carcere per attività antifascista), Teresa Noce (detta Estella, che dopo aver scontato un anno e mezzo di carcere perché antifascista venne deportata in un campo di concentramento nazista in Germania dove rimase fino alla fine della guerra) e Rita Montagnana (che aveva passato la maggior parte della sua vita in esilio). Donne che già avevano imparato a resistere.

Sulle colonne del Risorgimento Liberale del 26 giugno si legge ““Delle venti donne elette fu prima, alle tre e mezza, la on. Bianca Bianchi, socialista, professoressa di filosofia che a Firenze ha avuto 15.000 voti di preferenza. Vestiva un abito colore vinaccia e i capelli lucenti che la onorevole porta fluenti e sciolti sulle spalle le conferivano un aspetto d’angelo. Vista sull’alto banco della presidenza dove salì con i più giovani colleghi a costituire l’ufficio provvisorio, ingentiliva l’austerità di quegli scanni. Era con lei (oltre all’Andreotti, al Matteotti e al Cicerone) Teresa Mattei, di venticinque anni e mesi due, più giovane di tutti nella Camera, vestita in blu a pallini bianchi e con un bianco collarino. Più vistose altre colleghe: le comuniste in genere erano in vesti chiare (una in colore tuorlo d’uovo); la qualunquista Della Penna in color saponetta e complicata pettinatura (un rouleau di capelli biondi attorno alla testa); in tailleur di shantung beige la Cingolani Guidi, che era la sola democristiana in chiaro; in blu e pallini rossi la Montagnana; molto elegante, in nero signorile e con bei guanti traforati la Merlin; un’altra in veste marmorizzata su fondo rosa”.

Tra le democristiane c’era anche Elisabetta Conci, figlia di un senatore del vecchio Partito Popolare, la partigiana Angela Gotelli che aveva partecipato alla Resistenza nel parmense e Angela Guidi Cingolani, la prima donna che sarà chiamata al governo, come sottosegretario, nel VII governo De Gasperi.

L’Assemblea costituente rappresentava per loro l’occasione irripetibile di cambiare, dal punto di vista giuridico, la condizione femminile che era in quel momento fortemente squilibrata. Sostenevano l’uguaglianza tra i sessi nel campo lavorativo e in quello familiare, ritenevano necessaria la tutela della donna in quanto madre. Erano donne lavoratrici e avevano ben chiari i limiti della legge e della società. In un contesto sociale completamente cambiato dal ventennio fascista e dalla guerra, c’era la possibilità ed era necessario pensare al futuro.

Alle donne vennero affidati i temi ritenuti alla “loro portata”: “famiglia, maternità e infanzia”. Nel corso dei lavori ci furono non pochi scontri con buona parte dei colleghi che sostenevano la necessità di un sistema gerarchico all’interno della famiglia e l’ovvietà che al vertice si trovasse il marito. Dopo l’elaborazione degli articoli, la discussione si spostò in aula dove le donne ribadirono quanto sostenuto dalle loro colleghe nelle Commissioni: uguali diritti per l’uomo e la donna anche in ambito familiare, misure concrete per la tutela della maternità e dei figli nati fuori dal matrimonio. Le costituenti sostennero compatte le loro posizioni, tranne che per qualche sfumatura, come per esempio sull’opportunità di definire nella Costituzione il matrimonio come indissolubile (principio che venne poi escluso dal testo definitivo).

Un altro tema molto importante era il lavoro, sul quale le costituenti ritenevano si dovesse intervenire fortemente per difendere e affermare i diritti delle donne: tutela della maternità, parità dei salari e pari opportunità nell’accesso a tutte professioni.

Oggi nel giorno dell’anniversario dell’entrata in vigore della nostra Costituzione soffermiamoci a riconoscere il valore delle donne nella politica e nelle istituzioni. Per valorizzarle in tutti gli ambiti, dalla scuola al mondo del lavoro. Cercando di eliminare stereotipi, sessismo e abusi. È necessaria la cultura del rispetto, occorre la trasmissione di quei valori dei nostri padri e delle nostre madri costituenti. Occorre una politica che unisca uomini e donne, tenendo conto però della visione che solo una donna può avere. Superando anche la visione tutta femminile di diffidenza verso le altre donne. Un ritorno al passato che possa essere di esempio nel rispetto di quelle donne che ci credettero così tanto fino a realizzare il loro sogno: regalarci un Paese migliore.

Valentina Bombardieri

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