Che sia effettivamente cominciata la terza, oppure no, festeggiamo oggi il compleanno della Repubblica italiana che compie settantadue anni (e quasi altrettanti governi).
Gli ultimi giorni sono stati di particolare frenesia. La nostra Repubblica è stata protagonista delle prime pagine. Non di per sé, ma nel nome del Presidente che la rappresenta e del Governo faticosamente costituito. I social ancora una volta ci hanno deliziato dei commenti più variegati, accompagnati da schieramenti che invece delle bandiere ormai sventolano hashtag. Non saranno altrettanto romantici al vento, ma senza dubbio arrivano lontano. Per quanto sia positivo che la gente sia tornata a parlare (o meglio, a digitare) di politica, questi episodi mostrano come la crisi istituzionale o presunta tale che sembra abbiamo appena superato, ha confermato l’ignoranza di molti rispetto alle fondamenta della Repubblica che oggi festeggiamo, come per esempio il capitolo sui doveri del presidente che ne ricopre la massima carica.
Dunque, la storia di come siamo nati non sarà mai trita abbastanza per smettere di ripercorrerla.
C’era stato il fascismo, e la guerra. Una guerra in cui l’Italia è stata trascinata dal regime in maniera avventata, che malgrado il nazionalismo dei discorsi, malgrado il ritornato impero sui colli di Roma, non eravamo pronti a combattere. E c’era la monarchia. Complice della dittatura e della disfatta, anche dopo l’arresto di Mussolini, ordinato dallo stesso re che gli aveva dato carta bianca nel ventennio precedente, ormai la casa Savoia aveva perso la sua credibilità.
Quando i partiti poterono riemergere dalla clandestinità a cui erano stati condannati, sotto il governo del Maresciallo Badoglio, la necessità di chiarire la forma istituzionale che la nuova Italia avrebbe dovuto avere negli anni avvenire fu posta in secondo piano rispetto alle esigenze della guerra. Prima bisognava cacciare i tedeschi e i fascisti che avevano occupato il nord- Italia, poi sarebbe venuto il momento della ricostruzione, fisica e ideologica. Di qui il compromesso che caratterizzò il governo di Unità Nazionale prima sotto Badoglio, poi sotto Bonomi, Parri e De Gasperi. Una volta liberata Roma, il principe Umberto sarebbe stato proclamato luogotenente del regno. Poi, una volta finita la guerra, sarebbe stato il popolo italiano a votare per la monarchia o per la repubblica.
Tale compromesso fu il frutto di complicate discussioni politiche e diplomatiche che non riguardarono solo il nostro paese, ma anche coloro che stavano combattendo per la sua liberazione. Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica erano le potenze che avrebbero avuto l’ultima parola, e non avrebbe potuto essere altrimenti data la situazione militare in cui verteva il paese. Fu in particolare la Gran Bretagna di Churchill a battersi per il mantenimento della monarchia, istituzione in cui vedeva stabilità e possibilità di esercitare influenza per i suoi interessi nel Mediterraneo. Le posizioni statunitense erano invece più moderate. Era opinione diffusa all’interno dell’amministrazione Roosevelt che l’Italia dovesse darsi un governo democratico e la forma istituzionale che il popolo avrebbe scelto. Al tempo stesso però, le esigenze di guerra erano prioritarie ed il Mediterraneo era ancora percepito come “area di influenza” britannica.
Nonostante il conservatorismo britannico, la libertà politica italiana stava risorgendo. A guerra finita, sotto il primo governo De Gasperi, fu finalmente indetto il referendum istituzionale, oltre alle elezioni per l’assemblea costituente, che per la prima volta portò le donne italiane alle urne e che vide un’affluenza del 89%.
Da allora fu la Repubblica, che nacque con una prospettiva di speranza e rinascita dalle ceneri della dittatura e della guerra.