Falcone e Borsellino: una lezione “civile”

-di SANDRO ROAZZI-

C’è un abisso a pensarci bene fra la foto che ritrae sorridenti i magistrati Falcone e Borsellino e la “solitudine” che li ha accompagnati verso una morte terribile ed ingiusta. Assassinati a poca distanza di tempo uno dall’altro dopo che i tempi coraggiosi del pool antimafia erano già tramontati. In quell’abisso però ci sono le fosche ambiguità di una stagione politica della quale ancor oggi è difficile tratteggiare una storia davvero chiara e credibile.

Eppure con l’azione di quei magistrati e dei loro collaboratori la lotta contro le mafie fa progressi di grande valore, non solo giudiziario ma anche interpretativo. La criminalità organizzata appare per quello che è realmente: un intreccio di illegalità e affari, di morte e di dominio, che si espande sempre di più nell’economia legale, che si globalizza anticipando e poi sfruttando le cadenze e le opportunità della finanza internazionale che non conosce confini. Questa criminalità, feroce ma che si avvale dei colletti bianchi, esercita un potere sempre invisibile ma le cui tracce partono da insegne e targhe di attività lecite mimetizzate ovunque per finire nei tabulati finanziari, protetti negli angoli oscuri di rapporti insospettabili.

Ma non solo: le loro indagini che scuotono e aprono squarci in questa mutazione genetica per la prima volta in modo esemplare segnalano la penetrazione delle mafie al nord per intercettare le vie della economia e della finanza come se fossero delle enormi lavatrici in grado di ripulire il denaro sporco. Costituendo potentati temibili in grado di infettare il corso degli avvenimenti economici ovunque. Cambia la stessa nozione di controllo del territorio. Si afferma una gerarchia con tanto di gradi e “stipendi”, capace di navigare perfino nella lunga recessione degli anni duemila senza rimetterci, tutt’altro.

Questa capacità di evolversi, di utilizzare i mezzi più moderni per i propri traffici, di saper leggere in una parola la portata dei cambiamenti per insediarsi al loro interno è stata una delle percezioni più lucide ed importanti dei due magistrati uccisi.

Uomini coraggiosi, certo. Ma che si distinguevano anche nel loro rapporto con la comunicazione. Non cercavano l’effetto, certamente non per crearsi un piedistallo, non per far correre a getto continuo voci e interpretazioni incontrollate ed incontrollabili. Semmai seguivano il percorso del loro lavoro che diventava denuncia precisa ma mai fuori le righe, mai di sapore scandalistico. E di sicuro non per procurarsi benemerenze facili.

Falcone e Borsellino hanno preferito essere servitori dello Stato invece che essere un… partito dentro lo Stato. Almeno questa è l’impressione. Tanto è vero che a distanza di anni di loro colpisce una umanità che non è quella di altri protagonismi emersi nel loro stesso campo di lavoro.

Ricordarli è un dovere civile. Resta da vedere se questa classe dirigente è all’altezza della loro lezione di vita, è cioè in grado di ereditare l’impegno, i valori, il sacrificio compiuto. Resta da vedere se le parole che verranno pronunciate sono di una classe politica credibile sul piano etico prima ancora che su quello statuale. Resta da vedere se oggi si sarà in grado di suscitare una reazione della società civile che non si spenga con il richiudersi del sipario delle commemorazioni. Una domanda potrebbe essere: ha davvero avuto senso, ha davvero avuto seguito nella coscienza politica del Paese la loro morte? Senza spingersi a chiederci come valuterebbero Falcone e Borsellino questa Italia del terzo millennio. Era quella che volevano, per la quale hanno accettato pericoli e morte senza cedere alla paura?

Ed infine c’è anche una differenza nella valutazione del potere. Per loro andava usato per smantellare la criminalità. Molti magistrati continuano ad agire in questa direzione, in questo sono loro i veri eredi. Poco conosciuti, forse, ma indispensabili.

Nella politica di oggi invece non si sa più quale debba essere il legame fra potere e società. Un significato in gran parte da ricostruire. Farlo culturalmente, eticamente, politicamente ma in silenzio, senza strepiti e proclami, potrebbe almeno essere un modo civile per essere grati a Falcone e Borsellino.

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