Giugni: ecco a cosa serve lo Statuto dei lavoratori

Quella che pubblichiamo è una intervista rilasciata da Gino Giugni al quotidiano del Partito Socialista, Avanti!, pochi giorni dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del provvedimento che avrebbe poi preso il nome di “Statuto dei Lavoratori”. Giugni fu la “mente” giuridica della legge. Ecco come la spiegava allora.

  Più dignità al lavoratore più diritti al sindacato*

 I criteri ispiratori del progetto corrispondono in larga massima agli orientamenti della Confederazioni e si propongono di realizzare, aiutando la contrattazione, una legislazione di sostegno all’azione sindacale

 In seguito all’approvazione, da parte del Consiglio dei Ministri, del progetto di legge relativo allo statuto dei lavoratori, presentato dal compagno Brodolini, abbiamo ritenuto opportuno rivolgere alcune domande al compagno prof. Gino Giugni, ordinario di diritto del lavoro e attualmente capo dell’ufficio legislativo del ministero del lavoro, dal quale è stato elaborato il progetto in oggetto.

Da quanto è stato anticipato alla stampa apprendiamo che lo statuto dei lavoratori contiene norme relative alla dignità e alla libertà dei lavoratori nonché al sindacato. Ci puoi dire in sintesi qual è il contenuto di tali norme?

 “Tra le due parti del progetto che riguardano rispettivamente i diritti dei lavoratori e la presenza del sindacato in fabbrica, esiste innanzitutto una stretta connessione. La nostra tesi infatti è che la creazione di un clima di rispetto della dignità e libertà del lavoratore non può derivare soltanto da una dichiarazione di questi principi, anche quando ad essa, come nel caso nostro, si accompagnino adeguate sanzioni. In realtà, come l’esperienza insegna, la sanzione più efficace riposa nella capacità di contestazione e di innovazione del sindacato e perciò occorre che il sindacato sia presente nell’azienda.

La prima parte del progetto riguarda la garanzia della libertà di manifestazione del pensiero, naturalmente in forme che non impediscano lo svolgimento del lavoro; vengono inoltre eliminate le pratiche di controllo fiscale, le quali sono, purtroppo, ignote dove soprattutto il sindacato è più debole. Tali sono le cosiddette polizie private, le ispezioni personali che potranno essere ammesse solo quando ne ricorre la necessità, e con tutte le garanzie del caso, i controlli per assenza malattia che vano oltre la necessità di reprimere gli abusi, i controlli a distanza con apparati televisivi o di altro tipo che sottopongono il lavoratore ad una vigilanza continuativa, l’irrogazione arbitraria di sanzioni disciplinari, per le quali sono introdotte soprattutto speciali garanzie procedurali.

Per la parte concernente più direttamente il sindacato, basti dire che, in pratica, ogni sindacato rappresentativo potrà creare la propria rappresentanza a livello aziendale con la semplice indicazione dei lavoratori o degli organismi a tal fine destinati; per questi saranno operative varie garanzie: diritto di indire assemblee e referendum, di disporre dei locali (nelle imprese con più di 300 dipendenti) e di permessi retribuiti; mentre sarà operativa una speciale tutela contro i licenziamenti e i trasferimenti per rappresaglia.

La creazione di un ampio spazio per il sindacato nell’azienda è un’esigenza che si è manifestata in tutti i paesi europei e il diritto sindacale italiano con questa legge apparirà tra i più avanzati se non il più avanzato in senso assoluto.

A maggiori poteri si accompagnano naturalmente maggiori responsabilità; ma credo che i sindacati italiani siano in grado di assolvere queste ultime; mentre un imprenditore moderno non può non accettare di buon grado il quadro di relazioni industriali che estende l’area del dialogo e quindi della contrattazione”.

La legislazione del lavoro in Italia è abbondante ma, come è noto, non viene generalmente applicata. Nella stesura del progetto sullo “Statuto” ci si è preoccupati di questo?

 “Uno dei criteri ispiratori del progetto, forse il più importante, è di non prevedere nulla che non sia adeguatamente sanzionato, anche con l’uso di tecniche giuridiche nuove.

Rammento innanzitutto il miglioramento che si accorda alla legge sulla “giusta causa”. Ai licenziamrni nulli per discriminazione deve seguire l’effettiva riassunzione sotto pena di pagamento di una sanzione economica rilevante e continuativa che cessa solo con la reintegrazione del posto di lavoro. Rammento poi la norma in base alla quale di fronte al comportamento antisindacale, il sindacato stesso potrà ricorrere al Pretore per chiederne la cessazione entro due giorni, a seguito di un giudizio sommario (a cui potrà seguire naturalmente una normale causa, ma senza che questa sospenda il provvedimento del Pretore.

Ambedue sono novità di rilievo; la prima supera il principio della cosiddetta incoercibilità della prestazioni non patrimoniali, che a dire il vero, in altri ordinamenti è stato da tempo superato; la seconda riconosce che, nei rapporti sindacali, le situazioni sono irreversibili e le sanzioni applicate a distanza di tempo non servono a nulla, per cui, onde garantire una parità effettiva tra le parti occorre predisporre procedimenti accelerati”.

Ma ritieni possibile una legislazione che riguarda i sindacati indipendentemente dall’art. 39 della Costituzione?

 “L’art.39 per la parte che riguarda il riconoscimento giuridico del sindacato non deve diventare una camicia di Nesso. Esso infatti concerne la personalità giuridica del sindacato e la efficacie dei contratti. Lo Statuto non riguarda né l’uno né l’altro di questi due temi. Invocare contro di esso l’art. 39 significa in realtà mascherare una volontà politica negativa”.

L’elaborazione del disegno di legge è stata preceduta da consultazioni con le organizzazioni dei lavoratori?

 “Le consultazioni sono iniziate nei primi giorni di marzo e il testo è stato elaborato tenendo presente la risposta ad una nota che era stata distribuita alle organizzazioni sindacali.

Credo di poter affermare che esso corrisponde in larga massima agli orientamenti delle Confederazioni di lavoratori tanto più che essi apparivano abbastanza convergenti.

Mi sembra anche di poter dire che i settori sindacali dai quali è emersa in passato una prevenzione nei confronti dell’intervento legislativo non hanno manifestato una opposizione preconcetta. Nè ritengo d’altronde che tale intransigenza sarebbe stata giustificata, neanche nel quadro della logica cui essa si pone. Infatti il progetto non mira affatto a comprimere la contrattazione, quanto piuttosto ad esaltarla, creando condizioni che facilitino il dialogo tra le parti. Si tratta, cioè , di una legislazione di sostegno all’azione sindacale che pertanto non è in nulla sostitutiva a questa ultima e dall’applicazione di essa potrà risultarne potenziato questo strumento indispensabile di autonomia e di progresso che è la contrattazione collettiva”.

*Intervista a Gino Giugni apparsa sull’Avanti! del 24 giugno 1969. Titolo e sommario originale. Fondo Giugni, presso la Fondazione Pietro Nenni

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