-di PIERLUIGI PIETRICOLA-
Ernesto Galli della Loggia è fra i nostri maggiori storici. Dotato di una capacità di scrittura chiara ed elegante, ogni suo libro è il tentativo di definire meglio l’identità del nostro Paese e della sua storia otto-novecentesca che troppo spesso è stato oggetto di falsificazioni e mitizzazioni più o meno consapevoli. L’ultimo lavoro di Galli della Loggia, Speranze d’Italia. Illusioni e realtà nella storia dell’Italia unita (Il Mulino, 325 pagine, Euro 24,00), s’iscrive per l’appunto in questa prospettiva, ripercorrendo in modo critico vari nodi della nostra storia. Un libro bello e interessante, scritto con maestria e che si legge con l’identica passione con la quale ci si china sulle pagine d’un classico.
Prof. Galli della Loggia, dagli ultimi suoi tre libri – Credere, tradire, vivere; Il tramonto di una nazione e il nuovo Speranze d’Italia – emerge l’immagine di un paese (il nostro) che non ha ancora fatto debitamente i conti con la sua storia. Come è potuto accadere?
Credo che sia accaduto perché la storia, nel corso del tempo, è stata adoperata dai vari partiti in modo indiscriminato. Tutti: i liberali, i fascisti, i cattolici, i socialisti e i comunisti, nel raccontare il nostro passato, ne hanno fatto troppo spesso un uso più o meno arbitrario al fine di costruire o meglio accreditare la loro ideologia.
Questo potremmo dire sia avvenuto per un disegno politico ben preciso dei singoli partiti?
No. Stiamo attenti a non fare confusione. Non si sta parlando di una falsificazione alla Goebbels. Bensì di ideologie politiche che si sono modellate su una visione deformata della storia. Si aggiunga poi che gli storici stessi, che hanno raccontato il nostro passato, sono stati influenzati a loro volta dalle visioni del mondo che i partiti cui appartenevano andavano fornendo. Ma questo non vuole assolutamente dire che le narrazioni piò meno veritiere delle nostre vicende sino state il frutto di un qualche disegno politico. Sarebbe un errore affermarlo.+
Il suo ultimo libro racconta delle speranze (deluse o soddisfatte) che l’Italia ha avuto nel suo recente passato. Facendo un puro esercizio di immaginazione, nel futuro quali speranze l’Italia farebbe bene a coltivare?
Non mi faccia dire cose ovvie e banali. Ovviamente sono le speranze di cui sentiamo parlare tutti i giorni: che il nostro divenga un paese dove non ci sia più l’’evasione fiscale che c’è, dove vi sia più lavoro per tutti, un paese con una giustizia realmente funzionante. Le classiche speranze sbandierate dai politici ogni giorno. Mi sembra inutile ripeterle per l’ennesima volta .
Lei nel libro dedica un capitolo molto bello al falso mito costruito, nel corso degli anni, attorno alla Costituzione…
Sì. Il mito dell’intoccabilità e del fatto che la nostra sia la Costituzione più bella del mondo e, per ciò stesso, che non si possa modificare.
Esattamente. A tal proposito Stefano Rodotà sosteneva da sempre che la seconda parte della nostra Carta necessiterebbe di una ciclica manutenzione. Secondo lei, questa manutenzione c’è stata nel corso del tempo?
Non c’è stata per niente una buona manutenzione della seconda parte della Costituzione. Anzi: quella pestilenziale riforma del Titolo V, che ha conferito maggior autonomia alle Regioni, ha contribuito solo a pasticciarla e peggiorarla ulteriormente.
Come mai non vi sono mai state queste necessarie modifiche della seconda parte?
Le rispondo partendo da un altro punto, se me lo consente…
Certo che sì!
Diciamo che la vera riforma della Costituzione avrebbe dovuta essere quella del cambiamento del sistema di governo.
In che senso?
Nel senso che, stando a quanto sancisce la Carta, l’esistenza o meno di futuri governi in seguito alle di elezioni non dipende tanto dal risultato delle elezioni stesse, cioè dalla volontà dei cittadini, ma in misura decisiva, e secondo me troppo arbitraria dalla volontà dei partiti, dalla loro possibilità/capacità di accordarsi e di combinarsi indipendentemente dal responso delle urne. Dare questa autonomia e questo potere alle varie formazioni politiche io credo sia sbagliato.
Perché?
Perché in tal modo si mette tutto nelle mani dei partiti, sottraendolo alla volontà della maggioranza popolare. Lo stallo che si sta verificando in questi giorni, tralasciando il fatto che è conseguente ad una legge elettorale pessima, dipende essenzialmente anche da quello che le sto dicendo: siccome i vari partiti non si mettono d’accordo, e non riescono nemmeno a trovare un ubi consistam per future convergenze, il governo stenta a nascere. Assieme ad una modifica costituzionale che cambi il sistema di governo, se ne dovrebbe accompagnare poi un’altra per ridefinire i poteri del Presidente della Repubblica.
Secondo lei le competenze che ha il Presidente della Repubblica sono eccessive?
Diciamo che sono sovradimensionate. Specialmente per ciò che riguarda le sue possibilità d’intervento nella vita politica di ogni giorno. Basta pensare alla nomina delle varie cariche pubbliche che in pratica dipendono dal Presidente. Di fatto, i poteri di cui gode il Presidente della Repubblica sono analoghi, mutatis mutandis, a quelli di cui beneficiava il Re ai tempi della Statuto Albertino. Ecco perché penso che una vera riforma costituzionale dovrebbe riguardare questi due punti.
Certo.
Lei dice: “Certo”, ma non è mica così ovvio. Nel corso degli anni abbiamo assistito alla nascita di varie commissioni per le riforme costituzionali (dalla Bozzi in poi), che però non hanno concluso un bel niente.
Come mai queste modifiche non sono state proposte nel corso dell’ultimo referendum costituzionale?
Per quel che concerne il tentativo di dare più voce all’elettorato si è tentato di aggirare l’ostacolo abbinando al referendum di modifica della Carta una legge elettorale che, però, avrebbe concesso la possibilità di andare al ballottaggio al secondo turno per vincere l’intera posta anche a un partito che avesse avuto al primo turno una bassa percentuale di suffragi. Per quel che riguarda la revisione dei poteri del Presidente della Repubblica, non si è neppure affrontata la questione. Probabilmente anche per non creare attriti con il suo ufficio.
Io credo, Prof. Galli della Loggia, che leggere il suo libro farebbe un gran bene ai nostri politici…
La ringrazio. In generale, leggere è sempre fruttuoso.
La domanda che vorrei farle a tal proposito è se, a suo avviso, i politici odierni manchino o meno di cultura storica.
Ne hanno pochissima. Direi quasi nulla.
Come mai?
Perché hanno una scolarità e quindi un livello di istruzione in generale piuttosto basso. Del resto hanno studiato in un sistema scolastico figlio delle ultime riforme. Ecco spiegato il motivo per cui parlano un italiano stentato, sbagliando spessissimo i congiuntivi, senza consecutio temporum e con una orribile inflessione dialettale.
E questo, ovviamente, si riversa anche sul piano delle proposte politiche da realizzare…
Sì. È fin troppo ovvio dirlo, ma è così.
Sta già ponendo mano a un nuovo lavoro?
Sì.
Può anticiparci di che si tratta?
Sarà un libro che tratterà, per l’appunto, della catastrofe che la scuola italiana ha attraversato e sta attraversando da un trentennio abbondante.
A tal proposito, secondo lei sarebbe meglio tornare alla vecchia riforma Gentile?
È un argomento troppo serio e delicato per trattarlo nel breve giro d’una battuta in una intervista. Diciamo, in breve e brutale sintesi, che occorrerebbero una revisione molto coraggiosa della didattica e anche dell’organizzazione dei corsi coi rispettivi programmi.