-di MAURIZIO BALLISTRERI-
Se c’è un dato certo del “tripolarismo asimmetrico” che segna la politica italiana, con nessuna maggioranza parlamentare, coesa e solida, e con un punto interrogativo sulla futura governabilità del nostro paese, è che sono tornati i vecchi riti dei partiti della Prima Repubblica, officiati dai dirigenti della Dc: incarichi esplorativi, consultazioni, divisioni correntizie e, in ordine al mandato che il presidente della Repubblica Mattarella (un democristiano doc!) aveva conferito al presidente della Camera Fico, che va in bus senza auto blu ma quando cammina a piedi ha una scorta che nemmeno Trump!, la tentata intesa tra Cinquestelle e Pd sarebbe dovuta avvenire riesumando le “convergenze parallele” teorizzate da Aldo Moro.
Dal punto di vista politologico ci si può consolare pensando al processo di “italianizzazione” dei sistemi politici di molti paesi europei, dalla Spagna al Belgio e, financo, alla Germania “uber alles”, con la nuova “Grande coalizione” tra cristiano-democratici e socialdemocratici: per tutti l’instabilità politica nasce a causa del passaggio dal bipolarismo al tripolarismo, in cui la “terza forza” è rappresentata dall’emergere di nuove forze politiche populiste, poco importa se con connotazioni di sinistra o destra visto che le grandi culture politiche e ideologiche del ‘900 stanno, purtroppo, evaporando.
Ma per l’Italia si tratta di una ben magra consolazione, visto che gli altri partners europei stanno lentamente uscendo dal tunnel della crisi (la Germania non vi è mai entrata!), mentre il nostro Paese continua a non crescere, con il sorpasso della Spagna su di noi in termine di prodotto interno lordo, con alti tassi di disoccupazione che diventano insopportabili socialmente ed eticamente per quanto riguarda il mondo giovanile e il Mezzogiorno.
In Italia il tripolarismo è strettamente legato alla fine dei partiti organizzati, sostituiti da sigle politiche personali, di “plastica” o che vivono sul web, fenomeno il cui precursore fin dal 1994 è stato Berlusconi, imitato poi da tutti, nei simulacri della destra e della sinistra nella Seconda Repubblica. Al riguardo il politologo napoletano Mauro Calise, che negli anni Novanta del secolo alle nostre spalle, coniò la definizione di “partito personale”, ha descritto in un saggio dal il titolo “La democrazia del leader” il declino del “corpo collettivo”, costruito nei secoli per spersonalizzare il potere. Con la conseguenza che, come dice Calise, “i cittadini chiedono sempre al leader di turno molto di più di quanto potrà fare”, alimentando una doppia negativa tendenza: la rincorsa alla demagogia da una parte e l’esercizio del potere in forma autocratica, a cui, sovente, cerca di mettere riparo la magistratura, con notevoli debordamenti dal corretto esercizio della funzione giurisdizionale in democrazia, come ha correttamente osservato Angelo Panebianco sul “Corriere della Sera”.
E mentre si rinnovano i vecchi riti democristiani, sperando che non si arrivi ad un “governo di decantazione” o, peggio, ad uno “balneare” (famosi sono stati quelli di Giovanni Leone), la nostra economia continua a soffrire per una congiuntura mondiale negativa, mentre il turbolento scenario mediorientale si innesta su di una condizione geopolitica instabile, in cui terrorismo fondamentalismo e migrazioni incontrollate costituiscono la cifra del nostro tempo a livello planetario. E così, in Italia, l’anti-politica è destinata ad aumentare.