-di PIERLUIGI PIETRICOLA-
La pubblicazione del libro di Myriam Bergamaschi, I sindacati della UIL 1950-1968, ha offerto la possibilità di ripercorrere una vicenda che, oggi, in pochi ricordano. Generalmente discorrendo, la storia del sindacalismo, in Italia e non solo, non è molto affrontata. Eccettuato il glorioso e fortunato caso – e perciò ancor più raro – di Sergio Turone, che per anni si è impegnato a raccontare origini e vicende del nostro sindacalismo, in pochi – storici, pensatori, giornalisti, sociologi o politologi – hanno eretto a protagonista delle loro ricerche tale argomento. Il motivo di questa elusione non è noto. Ma è un fatto.
Il convegno che si è svolto presso la Sala Buozzi della sede confederale UIL a Roma in via Lucullo, non è stato solo di presentazione della ricerca della Bergamaschi, ma anche un’occasione per rispolverare un trascorso che è alla base non solo del sindacato, ma di un tessuto sociale e lavorativo di cui si rischia di perdere memoria.
Il volume di cui s’è parlato, è definito un “dizionario”. Effettivamente, del dizionario ha tutte le caratteristiche: una sistematicità nell’organizzazione delle informazioni; un linguaggio piano secco e diretto per facilitare l’apprendimento dei contenuti; confini chiari e precisi della ricerca. A ben leggerlo, però si tratta di una forma dizionariale più simile ad una enciclopedia, anche se tale – stricto sensu – non lo è. E perché? Per la semplice ragione che gran parte di quello che era l’atmosfera storica dei periodi di cui si parla nel libro, per metodo e di ricerca e struttura del volume, manca. Ma a tale assenza, l’evento che si è svolto in UIL ha saputo rimediare e in maniera più che esaustiva.
Il tavolo dei relatori – composto, oltre che dall’autrice, anche da Giorgio Benvenuto (Presidente delle Fondazioni Buozzi e Nenni) e Carmelo Barbagallo (Segretario Generale UIL) – nel dar vita ad una serie di ricchi interventi, han tenuto tutti a precisare una comune peculiarità: e cioè che si parla di periodi e modelli sociali che hanno espresso forme lavorative che oggi non esistono più. E aggiungiamo: anche modalità di somministrazione di impieghi (manuali e di concetto) che oggidì, anche per via dell’evoluzione normativa prodottasi negli ultimi tempi, non si concretizzerebbero più con le stesse caratteristiche implicitamente raccontate nel libro della Bergamaschi.
Sia Benvenuto che Barbagallo hanno tenuto a specificare questo dato, non ultimo perché – riferendoci agli anni compresi fra il ’50 e il ’68 – da ciò ne conseguì una certa condotta di politica sindacale anch’essa obbligata a rimodellarsi sulla base dell’evoluzione contestuale contemporanea.
Nell’evento è stata ben messa in luce la ragione della nascita della UIL: ovvero la volontà di dar vita a un sindacato che, per principii e vocazione di chi lo costituì, fosse autenticamente laico. Che, cioè, sapesse mediare fra le più che giuste rivendicazioni dei lavoratori e le esigenze dei datori di lavoro (dallo Stato al proprietario della piccola media o grande impresa che fosse). Al centro di queste dinamiche cosa vi era? Il diritto, ovviamente. Vale a dire quell’insieme di norme, leggi e regolamenti che hanno dato vita ad una stagione (di rivendicazione e mediazione) a cui oggi si guarda vuoi con nostalgia, vuoi con la speranza che possa ritornare.
Nel parlare del libro, è emerso un dato in particolare che ha offerto il modo di riflettere a come il sindacato, in passato, tenesse a rappresentare tutte le realtà lavorative che man mano nascevano e si consolidavano. Istituire una rappresentanza attraverso un corpo intermedio – entità che oggi si tende a mettere in crisi ma che, in realtà, costituisce il fondamento stesso di una democrazia che tale vuol definirsi – che sapesse mediare fra una molteplicità di interessi (operazione di sintesi conseguente una fase di analisi). Ciò che fu indicativo sia di una forte attenzione da parte di coloro che operavano nel sindacato verso tutti quelli che svolgevano un lavoro (umile o redditizio che potesse essere); sia di un rapporto diretto e meno separato con determinate tipologie di realtà. Oggi tutto questo può anche apparire estraneo, o comunque superato: ed è innegabile, vista l’evoluzione rapida delle epoche. Ma riprendere l’esempio di quel periodo non può essere di certo nocivo. Anzi: non potrebbe che costituire un motivo di rinnovamento del lavoro che il sindacato si troverà a svolgere nei prossimi anni.
Argomento, quest’ultimo, su cui s’è incentrato l’intervento conclusivo di Barbagallo, che a metà via fra ricordi personali e prospettive future relative alla UIL, ha tenuto a ricordare che dovere di un sindacato deve essere il raggiungimento e mantenimento di un giusto equilibrio fra le parti (lavoratori e datori di lavoro).
Può anche sembrare un’utopia – nel senso di sogno ad occhi aperti – ma non così impossibile da raggiungere e realizzare. Basta un minimo di consapevolezza e di ripresa di modelli operativi che in passato han mostrato la loro efficacia stando ai risultati ottenuti.
Da qui l’importanza di un libro come quello della Bergamaschi, seppur scritto in forma di dizionario.
Da qui il beneficio che ne può derivare da incontri come quello cui si è assistito pochi giorni fa.