Giovanni Paolo II, luci e ombre di un lungo papato

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

Il 2 aprile 2005 moriva Papa Giovanni Paolo II, Karol Josef Wojtyla. Eletto Papa il 16 ottobre 1978, il suo pontificato è durato 26 anni, 5 mesi e 17 giorni. Proclamato beato dal suo successore Benedetto XVI e poi santo il 27 aprile 2014 da papa Francesco.

Uno dei Papi più amati e più popolari. Un vero e proprio fenomeno mediatico. Nonostante ciò la sua opera mantiene degli aspetti controversi. Omissioni (colpevoli) sui casi di pedofilia, comportamenti non propriamente lineari con dittature latinoamericane (in particolare alla luce delle sue battaglie di libertà nei confronti dei paesi dell’Est e contro il regime comunista) e con prelature come l’Opus Dei e i Legionari di Cristo, abile uso dei moderni mezzi di comunicazione ma sostanziale rifiuto della modernità e non pochi passi indietro rispetto al Concilio Vaticano II (lo scontro con un teologo come Hans Kueng, la rimozione di Padre Pedro Arrupe, la “scomunica” della teologia della Liberazione con due dichiarazioni del Sant’Uffizio guidato da Josef Ratzinger e con quel dito minacciosamente alzato sulla faccia del fondatore del gruppo, Gustavo Gutiérrez inginocchiato all’aeroporto di Managua).

Appena divenuto papa nel 1978 diede la prelatura personale alla congrega occulta dell’Opus Dei, un’autonomia giuridica dentro la Chiesa, considerata pericolosa dalla chiesa stessa. L’Opus Dei detiene il controllo di una cospicua catena di banche e di un’infinità di aziende nel mondo. Il fondatore dell’Opus Dei è stato José María Escrivá de Balaguer. Papa Wojtyla lo santificò durante il suo pontificato, dimenticandosi la vicinanza del prete alla dittatura franchista (anche in questo caso un atteggiamento non molto coerente con le sue “battaglie di libertà”), l’antisemitismo, lo scandaloso acquisto di un titolo nobiliare e le denunce sula manipolazione del processo di santità. Era necessario offrire un santo alla classe dirigente cattolica anticomunista. Né le cose sono andate meglio con Marcial Maciel, il fondatore dei Legionari di Cristo, molto vicina al governo di Felipe Calderón in Messico. Anche se è dimostrato che sin dal 1976 il futuro papa era informato delle ombre che accompagnavano Maciel, chiuse un occhio, anzi tutti e due di fronte alle due concubine del prete, ai vari figli che personalmente stuprò per anni, alle accuse di furto, malversazioni, appropriazioni indebite e altri crimini. Solo dopo la morte di Wojtyla e di Maciel, avvenuta nel 2008, la chiesa cattolica smise di coprire le sue colpe. Quella del silenzio era una pratica molto diffusa durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Il Papa sapeva degli abusi sessuali, non solo di Maciel ma anche dei numerosi preti pedofili come il cardinale austriaco Hans Hermann Groër e lo statunitense Bernard Law, nominato arciprete di Santa Maria Maggiore a Roma o l’arcivescovo Paetz, per giunta stretto collaboratore del pontefice.

Il viaggio nel Cile di Pinochet resta uno dei momenti più controversi del suo pontificato. Tutti erano a conoscenza delle crudeltà del regime ma Giovanni Paolo II non fece molto per evitare che il dittatore utilizzasse la visita per legittimarsi, soprattutto sul palcoscenico internazionale. Quella stretta di mano rimase impressa nelle menti delle madri di “Plaza de Mayo” che dodici anni dopo, ancora afflitte dal dolore di figlie, figli e mariti che non avrebbero più rivisto (il dramma dei desaparecidos), di fronte agli inviti papali alla clemenza nei confronti di Pinochet, gli spedirono una lettera violentissima: “Ci rivolgiamo a Lei come cittadino comune, perché sembra aberrante che dalla sua poltrona di Papa in Vaticano, senza conoscere, senza avere sofferto sulla sua pelle la tortura… abbia il coraggio di chiedere, in nome di Gesù Cristo, clemenza per l’assassino di Pinochet. Gesù è stato crocifisso e la sua carne è stata lacerata dai Giuda come Lei che oggi difende gli assassini”.

Forse i suoi estimatori hanno ragione quando affermano che anche in quella occasione sollecitò il ritorno della democrazia in Cile e che, comunque, non aveva abbracciato solo Pinochet ma anche gli esponenti dell’opposizione. Certo è che in tanti hanno intravisto un certo strabismo nel suo modo di affrontare la questione della libertà e della democrazia. E si ricorda, a tal proposito, la visita in Vaticano di Oscar Romero, l’arcivescovo salvadoregno che poi venne ucciso da un sicario di Roberto D’Aubuisson, leader del partito nazionalista, soprattutto uomo spietato che dirigeva gli squadroni della morte. In quell’occasione il Papa avrebbe invitato l’arcivescovo ad avere rapporti migliori con il governo.

Il pontificato del silenzio e del conservatorismo. Fu contro la Teologia della Liberazione e nel 1979 andò in Messico dove impresse una svolta duramente conservatrice alla terza conferenza episcopale latinoamericana. Venne inoltre impedito qualunque dibattito su temi etici come la fecondazione assistita, i matrimoni omosessuali, le cure palliative. Un Papa sempre contro qualsiasi tipo di contraccezione e contro l’uso del preservativo nella lotta all’AIDS. Ma abile a utilizzare la televisione e le masse. E quando una folla immensa si radunò sotto la sua finestra seguendo minuto per minuto una agonia che non fu lunghissima, si capì immediatamente cosa il “popolo di Wojtyla” volesse dal suo successore: “Santo subito”. Non hanno atteso troppo.

Valentina Bombardieri

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