-di FRANCO CAVALLARI-
Nel corso della recente campagna elettorale, molti esponenti politici della coalizione di destra, si sono adoperati a spiegare al pubblico e ai muti intervistatori il famoso “effetto Laffer” su cui si basa la “flat tax”. Essi hanno, cosi, pienamente realizzato anche in Italia lo scenario prefigurato dalla battuta che circolava negli ambienti politici statunitensi all’inizio degli anni ‘80: “la maggiore qualità della “curva di Laffer” consiste nel fatto che in mezzora può essere spiegata ad un deputato del Congresso e che questi potrà parlarne per almeno sei mesi”.
Il grafico, disegnato nel 1974 dal giovane economista Arthur Laffer su un tovagliolo di ristorante, enuncia un principio molto discusso: in certe condizioni economiche, una forte diminuzione delle imposte produce, insieme al rilancio dell’economia, anche un aumento delle entrate fiscali. Nel 1980, dopo la lunga crisi degli anni ‘70, in un clima culturale proiettato verso l’egemonia del monetarismo di Milton Friedmann e del liberalismo neoclassico, Reagan entrò trionfalmente alla Casa Bianca. Nel primo anno di Presidenza, accogliendo i suggerimenti del suo consigliere economico Arthur Laffer, varò un vasto programma di governo, comprendente, oltre ad una forte riduzione delle imposte, anche una grande deregulation e ad una politica monetaria restrittiva volta al controllo dell’inflazione, salita nel 1980 ad un livello superiore al 13%.
Il processo di radicale detassazione attuata da Reagan, proseguì in modo altalenante per tutto il periodo della sua Presidenza, nel corso della quale furono varati una seconda riforma nel 1986 e numerosi alterni provvedimenti di detassazione e di rincaro delle imposte. Nell’insieme del periodo, spesso portato dai politici di destra come un esempio dei benefici correlati al taglio delle imposte, l’aliquota marginale, pur avendo subito diverse oscillazioni, era diminuita dal 72% del 1981 al 28% del 1989.
Tuttavia, se tiriamo le somme dei due mandati presidenziali di Reagan, accanto ai benefici, la detassazione ha comportato anche numerose ombre: la forte detassazione del 1981 impresse una benefica sferzata al sistema economico degli USA (8% (negli anni 1082-83 registrò si sviluppò ad una media annua dell’8%; per contro, il deficit del bilancio Federale, salito già nel 1981 dal 2,6% al 4,8%,, si mantenne nei quattro anni successivi sopra il 5%, discendendo poi al 3,7% nella media del periodo 1985-1990. In conseguenza, il debito pubblico crebbe enormemente e gli interessi per finanziarlo fecero lievitare ulteriormente il disavanzo del bilancio Federale. Anche il ritmo dello sviluppo negli anni successivi al 1983 scese dall’8% ad un più modesto 3%, mentre il conto corrente della bilancia dei pagamenti, sostanzialmente in equilibrio nel 1980, registrava nel 1989 un disavanzo di 1000 miliardi di dollari; il secondo mandato di Reagan si chiudeva, comunque, con la disastrosa crisi di borsa del 1987, lasciando una gravosa eredità al nuovo Presidente, G.Bush senior.
Riguardo all’effetto Laffer, interessante è la testimonianza del Prof. Pietro Reichlin della LUISS (Convegno organizzato a Roma da “Economia italiana” il 22 gennaio 2018), secondo la quale lo stesso A. Laffer, in un recente incontro personale negli Stati Uniti, avrebbe ammesso che l’incremento degli introiti fiscali correlati alla riforma fiscale di Reagan non copriva neanche i maggiori interessi sul conseguente aumento del debito pubblico.
In merito alla proposta di “flat tax” italiana, va sottolineato che non si tratta di una “tassa unica” come spesso si è equivocato, ma di una tassa ad “aliquota unica” che lascia immutate tutte le altre imposte vigenti (IVA, Contributi sociali, accise sui carburanti, tassa di registro ecc. che assommano complessivamente a circa i 4/5 delle entrate); per cui, la ventilata spinta a manifestarsi per gli evasori, di cui al discusso “effetto Laffer”, sarebbe veramente irrisoria.
Quanto al successo di questa imposta nei circa 40 Paesi ove è stata adottata, è significativo che si tratti di Stati ex comunisti dell’Europa dell’est, di piccole isole paradisi fiscali e di minuscoli Stati causasici e dell’America latina, le cui caratteristiche economiche sono completamente diverse dalla nostra e ove, comunque, non v’è traccia di performance economiche particolari; anzi, la Slovacchia, ad esempio, che nel 2004 aveva introdotto l’aliquota unica del 19%, nel 2013 ha dovuto affiancare ad essa una seconda aliquota del 23%. La Russia poi, che non aveva mai conosciuto un’imposta sul reddito ed è spesso citata dalla destra, costituisce un caso a se: uno studio approfondito dell’OECD nel 2005 ha stabilito che il grande sviluppo dell’economia e il boom delle entrate in Russia, non hanno nulla a che vedere con la “flat tax” del 13% istituita nel 2001, ma derivano dal forte aumento in quel periodo del prezzo internazionale delle fonti energetiche
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