11 marzo 1990: in Cile la fine di un dittatore criminale

-di GIULIA CLARIZIA-

Il golpe del 1973 in Cile aveva aperto la strada alla serie di regimi militari che presero piede in America Latina, spesso con il supporto del ben più forte vicino di casa, gli Stati Uniti sotto la presidenza Nixon. Di fronte al pericolo del comunismo, anche quelli che sono considerati i grandi “difensori” della libertà e della democrazia fecero un passo indietro (anche se poi in realtà avevano sempre considerato l’America Latina il “cortile di casa”, trattandolo di conseguenza).

Prima del golpe, la situazione in Cile non era stabile a causa di una forte crisi economica, che il governo democraticamente eletto di Salvador Allende stava cercando di affrontare prendendo decisioni che infastidivano non poco la borghesia cilena e gli investitori stranieri, come la nazionalizzazione delle miniere di carbone, rame e ferro.

L’idea che si era prossimi alla guerra civile, alimentata da scioperi e proteste, ha fornito il pretesto per il golpe militare durante il quale Salvador Allende morì in circostanze ancora poco chiare.

Pinochet divenne capo della giunta militare di governo, poi Capo Supremo della Nazione, e il suo primo accorgimento come repressore della libertà fu quello di eliminare l’opposizione attraverso una serie di arresti di massa e il terrore diffuso attraverso la tortura, così che se gli oppositori fossero stati rilasciati, non avrebbero avuto il coraggio di continuare con il loro impegno politico.

Per diciassette anni il Cile, paese che, per gli standard dell’America Latina è quello che sicuramente aveva avuto una delle migliori tradizioni democratiche, fu privato della democrazia per essere guidato da un regime sanguinario, militare, che trasformò il paese nel laboratorio del liberismo sfrenato facendo salire in cattedra gli allievi (i Chicago Boys) di Milton Friedman. Soprattutto trasformò il paese in un grande campo di concentramento, dando libero sfogo alla pratica dei desaparecidos. Le ricette economiche in un primo momento funzionarono, ma già nel 1976 il paese dovette affrontare una forte recessione. Seguita poi da una seconda nel 1982 da cui ci si riprese solo nel 1986 con l’introduzione di interventi statali nel sistema liberista.

Con il passare del tempo, tuttavia, il regime perdeva sostenitori. L’episodio chiave che ha segnato questa perdita di consensi è stato l’omicidio di un giovane fotografo con la residenza statunitense, Rodrigo Rojas, il 6 luglio 1986. Egli fu bruciato vivo insieme a un amico dopo essere stato trovato con delle molotov e della benzina, sebbene la versione ufficiale dichiarata dallo stesso Pinochet sia stata che accidentalmente le stesse Molotov erano esplose ed avevano causato l’incendio. Ai suoi funerali si presentarono migliaia di persone e il presidente degli Stati Uniti Ronald Raegan non poté non prendere le distanze dal regime cileno.

Era necessaria una nuova legittimazione. Per questo Pinochet, a più di settant’anni, decise di indire un plebiscito per un nuovo mandato presidenziale di 8 anni, convinto di vincere. Suo malgrado, il No prevalse con il 55%. Secondo i report di osservatori internazionali, le elezioni si svolsero in maniera corretta e furono seguite, effettivamente, da una transizione verso la democrazia dopo diciassette anni di repressione della libertà e violazioni dei diritti umani.

Nonostante fosse chiaro all’opinione pubblica internazionale che Pinochet fosse un assassino, egli non scontò mai la sua pena. Fino al 1998, egli mantenne la carica di capo dell’esercito e dopo divenne senatore a vita con immunità parlamentare. A Londra, dove si trovava per un intervento chirurgico egli fu arrestato e costretto alla detenzione domiciliare, accusato per crimini contro l’umanità, nonostante l’opposizione del governo cileno. I suoi crimini erano ritenuti talmente gravi, che, secondo il mandante del suo arresto, Baltasar Garzón, ricadevano nel campo della giurisdizione universale.

A causa delle precarie condizioni di salute, in ogni caso, i britannici concessero a Pinochet il rientro in Cile, dove venne comunque indagato e dichiarato colpevole, dopo essere stato privato, nel 2000, dell’immunità parlamentare. Nonostante ciò, egli non subì mai un vero processo a causa delle interruzioni frequenti per problemi di salute. Alla sua morte nel 2006, il presidente Michelle Bachelet gli negò i funerali di stato. Tuttavia, alle inevitabili esequie militari, sessantamila persone si sono presentate a rendere omaggio ad un criminale.

giuliaclarizia

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