Le amarezze di una sinistra in cerca di futuro

-di CESARE SALVI-

È stato detto da più parti che le elezioni di quest’anno possono essere considerate epocali, di “ riallineamento “, come nei precedenti del 1948 e del 1994.

L’aspetto su cui mi interessa provare a ragionare è la disfatta del centrosinistra, in tutte le sue anime, dal PD a Leu alle liste più estreme. Il risultato è che al bipolarismo imperfetto emerso nel 1948, e al bipolarismo post 1994, si sostituisce un sistema nel quale prevale il bipolarismo destra-5 stelle, con a sinistra un quadro debole e frammentato (anche all’interno del PD).

Mi si dirà: ma il PD non era più di sinistra. È proprio questo il punto: era da questa premessa che partiva il progetto di Leu; ma il risultato è stato sconsolante. Inoltre, perché nel PD ha prevalso, senza resistenze interne fino al referendum costituzionale, il centrismo?

Altra obiezione: destra e sinistra non esistono più. E forse c’è del vero, se abolizione della legge Fornero e reddito di cittadinanza sono state le parole d’ordine di Salvini e Di Maio. Ma resta il fatto che dove le forze tradizionali di centrosinistra in Europa hanno perso consenso (per la subalternità al blairismo, come ormai si riconosce generalmente), sono emerse (Francia, Germania, Spagna, Grecia, ecc.) soggettività politiche dichiaratamente di sinistra, con risultati a due cifre.

Perché in Italia no? Vi sono certamente ragioni legate agli evidenti errori politici commessi da Leu (l’investitura plebiscitaria nella inconsistente leadership di Grasso, la ricandidatura di esponenti politici di primissimo piano del recente passato, i criteri per la formazione delle liste, una campagna elettorale politicista e priva di qualunque parola d’ordine che parlasse agli esseri umani in carne e ossa, per dirla con Gramsci).

Ma anche questa risposta si trasforma in una domanda: perché l’unità di (quasi) tutti i soggetti a sinistra del PD non è riuscita a fare di meglio?

Difficile rispondere in modo sintetico e non superficiale, ma correrò il rischio, individuando tre ragioni della disfatta della sinistra in Italia.

La prima è di lungo periodo. Il “caso italiano”, come allora si diceva, è stato caratterizzato dal fatto che il partito più forte della sinistra era, ed è rimasto fino alla caduta del muro, il partito comunista. Il secondo partito, quello socialista, quando ha giocato fino in fondo la carta dell’autonomia con Craxi, non è riuscito a praticare il riformismo predicato, ed è rimasto coinvolto più degli altri (a torto o a ragione, qui non importa) nello scandalo di mani pulite.

Progressivamente, e senza una reazione adeguata di coloro che avevano diretto quei partiti, e poi i partiti successori, nell’immaginario collettivo comunismo è diventato sinonimo di Gulag, socialismo di malaffare (come conferma la voce dal sen fuggita a Renzi in campagna elettorale). Ne è emersa una sinistra che si dichiarava senza storia (“non sono mai stato comunista”, diceva Veltroni, dirigente del Pci fin dalla più giovane età), o che della sua storia sembrava vergognarsi.

Col tempo, tutto ciò si è sedimentato, è diventato senso comune.

Una seconda ragione è connessa al deteriorarsi del sistema politico italiano, anche (non solo) per effetto di leggi elettorali (dal 2006) nelle quali i parlamentari sono scelti da chi dirige il partito, non dagli elettori, e del venir meno della democrazia di partito, sostituita dal rito delle primarie.

Questo ha prodotto una chiusura nel “palazzo” (o nei “palazzini” dei partitini minori della sinistra) dei dirigenti, con un ceto politico sempre più autoreferenziale, dove prevale chi sa manovrare meglio. Ma gli elettori se ne accorgono, come si è visto.

Infine, un fattore esterno alla sinistra in senso tradizionale, ed esclusivo dell’Italia: un partito come i 5 stelle, che è riuscito a collocare il populismo (a differenza che negli altri paesi europei) fuori dallo schema destra/sinistra; e quindi ad attrarre anche un elettorato potenzialmente di sinistra, come era già accaduto nel 2013 (rispetto all’ “agenda Monti” e al “giaguaro da smacchiare” di Bersani), e ancora di più – dopo i 5 anni di governo PD – il 4 marzo (guadagnando così 2 milioni di voti, tutti tolti al centrosinistra e a sinistra; anche il centrodestra ha guadagnato, rispetto al 2013, 2 milioni di voti).

In fondo, senza i 5 stelle avrebbe vinto Salvini. Ma a sinistra vedo solo macerie.

Una persona a me vicina mi ha detto: meglio che sia tutto azzerato, e ripartire. Ma ripartire da dove? A questa domanda, per il momento, non so davvero rispondere.

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