Italo – Montezemolo: “Il Made in Italy è tutto”, forse…

-di ALESSANDRO ROSSI-

Italo ha una storia recentissima, debutta sul mercato dell’alta velocità nel 2012, la sua prima corsa riservata alla stampa è del 20 aprile ed il successivo 28 aprile l’apertura ufficiale al pubblico.

Dal 2012 ad oggi Italo ha fatto registrare un continuo aumento della propria clientela grazie alle offerte concorrenziali messe in atto.

Tra i propri azionisti si possono annoverare oltre a Luca Cordero Di Montezemolo e Diego Della Valle, soci fondatori dell’azienda, anche Intesa Sanpaolo S.p.A. e  Generali Financial Holdings. La compagine azionaria è facilmente reperibile sul sito italospa.italotreno.it/corporate-governance/compagine-azionaria.html nel quale è presente anche questo schema riassuntivo:

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Nell’ultimo anno, come si evince dal comunicato stampa del Consiglio di amministrazione del 18 Gennaio 2018, la posizione finanziaria netta ha subito un calo del 17,7% rispetto al 2016, il bilancio societario rimane comunque in attivo di 443 milioni di euro. Rilevati questi dati Italo – NTV (Nuovo Trasporto Viaggiatori), per aumentare il capitale societario, il 23 gennaio 2018 presenta la domanda di ammissione a quotazione delle proprie azioni sul mercato telematico azionario. A distanza di pochi giorni, il 6 febbraio 2018, la società sembra cambiare rotta valutando offerte di altri partner privati o addirittura la vendita della società stessa. È cronaca degli ultimi giorni che, in data 11 febbraio, la società ha accettato l’offerta dell’investitore americano “Global Infrastructure Partners (GIP)” per l’acquisto dell’intero capitale azionario di Italo, pari a 1,980 miliardi di euro. I soci azionisti hanno optato per la vendita dell’azienda, con votazione unanime, scegliendo in questo modo un guadagno certo piuttosto che uno incerto come quello che sarebbe potuto scaturire dalla quotazione azionaria.

Sorgono degli interrogativi.

Si parte dal presupposto che Italo è una società privata e quindi libera di poter mettere in atto qualsivoglia politica societaria. Il progetto era stato presentato, però, come un’eccellenza del Made in Italy dallo stesso Presidente Luca Cordero di Montezemolo, quest’ultimo in un’intervista a Repubblica del 2012 affermò che “il Made in Italy è tutto” e nel viaggio inaugurale con la stampa dichiarò “La  vera crescita è chi investe e chi rischia” (come riportato anche da “Il Sole 24 ore”). Rileggendo ora queste dichiarazioni, sembra poco lineare la scelta di non continuare a “rischiare” entrando nel mercato azionario telematico, in questo modo la società sarebbe rimasta un’eccellenza del Made in Italy e non sarebbe diventata parte di un investimento straniero.

Dopo questa premessa però è naturale chiedersi:

Perché avviare una società raggiungendo ottimi risultati e venderla al miglior offerente a soli 6 anni dalla prima corsa?

Una società come Global Infrastructure Partners (GIP), che gestisce oltre 40 miliardi di dollari, perché è interessata ad Italo? Vuole utilizzare questo acquisto come mezzo per l’accesso al mercato europeo e quindi a ben più grandi investimenti?

Queste domande appaiono legittime e sembra legittima anche l’indignazione della cronaca tutta. Svendere un’eccellenza come Italo è una grande perdita per l’imprenditoria italiana. Come possiamo tornare competitivi sul mercato mondiale se i maggiori imprenditori nazionali puntano più sulle speculazioni finanziarie piuttosto che valorizzare le eccellenze che creano?

Ci troviamo davanti al capitalismo del nuovo millennio nel quale, per alcuni, è più importante l’aumento del patrimonio, piuttosto che il rischio imprenditoriale volto alla crescita non solo del prestigio della propria azienda, ma anche dell’economia nazionale tutta. Le grandi imprese del passato sono diventate tali perché erano aziende di famiglia e venivano trattate come parte della stessa dai titolari, si aveva a cuore il prodotto finale e i consumatori che avrebbero acquistato i beni. Non si tralasciava, ovviamente, la parte economica relativa agli investimenti, ma erano due strade che avanzavano di pari passo. In Italia non mancano questi “pionieri” dell’imprenditoria, ma tendono sempre più a scarseggiare. Speriamo che questa rotta torni ad invertirsi e che torni ad essere centrale la qualità del vero Made in Italy che ha fatto grande la nostra nazione nel mondo. Non si più pensare di far reggere l’economia nazionale solo sugli investimenti, bisogna puntare alla qualità del prodotto e, di pari passo, dare giusto risalto al lavoro dei dipendenti che è il punto essenziale su cui si costruisce il successo di qualsiasi azienda.

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