-di VALENTINA BOMBARDIERI-
C’erano una volta le dirette streaming, il Parlamento da aprire come una scatoletta di tonno. C’era la “kasta” e “l’honestà” e la democrazia diretta. Concetti ormai ampiamente superati. C’era anche il “noi restituiamo metà del nostro stipendio”. Volevano stritolare i poteri forti, ora i grillini rischiano di essere letteralmente strozzati. La trasmissione di Italia Uno “Le Iene” ha scoperto che alcuni parlamentari del M5s annullavano i bonifici con cui versavano una quota parte del loro stipendio al Fondo per il microcredito. Coinvolti più di dieci parlamentari. Per un risparmio (nelle loro tasche) di circa 1,4 milioni di euro. Su un fondo di poco più di 20 milioni. Bonifici effettuati per poter ottenere la ricevuta e poi cancellati.
Per regolamento i grillini (dovrebbero) versare metà del loto stipendio e tutti i rimborsi nel fondo per il microcredito. Secondo il sito tirendiconto.it (utilizzato dai Parlamentari del M5s per mostrare le regolarità dei trasferimenti) i Parlamentari hanno versato circa 23,5 milioni. L’agenzia di stampa Androkonos sostiene che nel fondo ci siano 23 milioni di euro. Per un ammanco di circa 1,4 milioni. Considerando che sul fondo vengono versati anche i rimborsi di alcuni consiglieri regionali e di alcuni espulsi dal Movimento per un totale di circa 900 mila euro.
“Honestà” che, forse anche per gli ultimi fatti non positivi di cronaca giudiziaria e il clima di bollente campagna elettorale ha fatto sprofondare il M5s nell’occhio del ciclone.
Ma meglio non sottolinearlo perché altrimenti partono i gruppi ultrà che alimentano la propria fedeltà al Grillo-pensiero a colpi di insulti e di grida manzoniane contro “quei collusi servi del governo”, in una logica cybernetica che Torquemada e Vysinskij finiscono per apparire degli scolaretti (e i film di Alvaro Vitali uno straordinario esempio di raffinatezza linguistica).
Ma che piaccia o no un problema c’è. Pietro Nenni diceva “A forza di gareggiare a fare i puri, trovi sempre qualcuno più puro di te che ti epura”. Fare del moralismo e dell’onestà la propria colonna portante non sempre può portare gli effetti desiderati. Il motto “onestà onestà” è stato sempre sventolato in faccia agli avversari politici. Mai garantisti quando si parlava degli altri, per poi diventarlo quando toccava ai loro (vedi caso Virginia Raggi).
Una classe politica emergente convinta che la politica si potesse fare con gli scontrini, le foto ai bonifici e i vaffa-day. Inneggiando alla propria diversità morale. Tutto bello, bellissimo. Fino a quando un giorno scopri di non essere più diverso. Non sei più “honesto”. Sei finito in un partito in cui ci sono le mele marce. Esattamente come tutti gli altri. Ma se hai fatto dell’onestà il tuo dictat che si fa? Parafrasando una famosa canzone di Ron degli anni ’80, la domanda sembra essere: cosa resterà di questo Movimento?