Orwell e San Valentino

-di FRANCO LOTITO-

1984: è l’anno in cui George Orwell colloca la trama fanta-politica del suo più celebre romanzo; ed è anche l’anno in cui si materializza la vicenda di un accordo sindacale e di una rottura politica.

 Era il 14 febbraio di 34 anni fa, una giornata grigia e uggiosa come solo il mese più corto e più “amaro” dell’anno sa ammanire. In una delle magnifiche sale di Palazzo Chigi, Giorgio Benvenuto per la UIL, Pierre Carniti per la CISL ed Agostino Marianetti per la componente socialista della CGIL decidono di sottoscrivere con il Governo nelle persone di Bettino Craxi Presidente del Consiglio, e di Gianni De Michelis Ministro del Lavoro, un’ intesa con la quale le parti firmatarie accettavano una manovra di raffreddamento della dinamica dei salari sterilizzando 4 punti di scala mobile. La componente comunista della CGIL rappresentata da Luciano Lama invece  decideva di non sottoscrivere quell’accordo formalizzando così un dissenso di merito profondo, maturato lungo il corso di una tormentata vicenda negoziale nella quale tutti gli attori erano stati  alle prese con i nodi di una crisi economica resa drammatica dall’imperversare di una inflazione dai contorni sudamericani, trascinando con se quel che restava dell’esperienza unitaria della Federazione CGIL-CISL-UIL.

Nessuno voleva la rottura, eppure tutti erano consapevoli che stavano recitando il copione di un dramma in cui le parti erano già state assegnate. Del resto ogni margine di un compromesso unitario era stato consumato già una settimana prima nel corso di quella che fu l’ultima riunione del Direttivo unitario, che Pierre Carniti chiuse dichiarando che “la segreteria della Federazione CGIL-CISL-UIL ritiene opportuno prendere atto che sui criteri e sull’entità della manovra salariale non vi è l’accordo fra di noi”.

Sul volto dei protagonisti erano scolpiti i segni del dramma che in quelle ore andava consumandosi nella vita del sindacalismo confederale. La determinazione nel mantenere ferme le rispettive posizioni sui contenuti di un accordo si mescolava con l’evidente sofferenza di chi scorgeva in quell’epilogo la lacerazione di una storia unitaria che aveva fatto del sindacato confederale un protagonista decisivo della vita sociale, politica ed economica del Paese. In quelle ore tutto sembrava rimesso in discussione, persino il legame di stima ed un bagaglio di rapporti umani costruito tra i gruppi dirigenti del sindacato nel corso di  15 anni di lotte e di impegno unitario.

La rottura dell’unità sindacale segnò una lacerazione profonda che attraversò tutte le strutture, dalle sedi confederali, a quelle di categoria fino ai luoghi di lavoro, dove il confronto duro non di rado tracimò nello scontro frontale. In quelle condizioni un PCI seriamente provato dal fallimento dell’esperienza della “solidarietà nazionale”, vide le condizioni per lanciare un referendum, così chiedendo, non ai lavoratori, ma agli elettori di abrogare il decreto di San Valentino. A ben vedere quella scelta che di fatto scavalcava i lavoratori come referenti dell’iniziativa politica del Partito, metteva in serissima difficoltà l’autonomia del sindacato. Come è noto il referendum diede torto ai promotori e nei fatti rese ancora più acuta la crisi interna alla CGIL che si era formalmente aperta con la firma separata di Marianetti costringendo nel contempo la componente comunista ad un sofferto allineamento sotto l’egida del PCI.

Dall’altra parte della barricata erano schierate le forze e le ragioni di un accordo che nella sostanza era lo sbocco di una scelta strategica compiuta unitariamente sei anni prima  con quella che passò alla storia come la “svolta dell’EUR”. Di quella svolta – va sottolineato – fu convinto assertore Luciano Lama, il quale, in una celebre intervista rilasciata una settimana prima che si riunisse l’assemblea dei delegati della Federazione CGIL-CISL-UIL ad Eugenio Scalfari, motivò con grande forza e lucidità la necessità  di superare la linea del salarialismo  egualitarista a favore di una visione più ampia che faceva i conti con i nodi di una crisi economica che si accartocciava su una spirale inflazionistica fuori controllo. Per sconfiggere l’inflazione era necessario passare dalla logica puramente rivendicativa a quella di uno scambio di alto profilo politico nel quale la moderazione salariale e la prederminazione della sua dinamica – di cui Ezio Tarantelli fu acuto sostenitore – era la condizione persuasiva per legare il Governo e la Confindustria ad una rigorosa politica di controllo dei prezzi e delle tariffe e di sostegno agli investimenti destinati a combattere l’inflazione. Era l’essenza di una Politica dei Redditi contrattata con le parti sociali che dall’assemblea dell’EUR iniziava il suo cammino e che avrebbe trovato un suo primo sbocco con l’accordo di San Valentino.

Quell’accordo fu tutto tranne che il venir meno alle premesse unitarie che furono poste dall’Assemblea dell’EUR. Le ragioni della rottura che si consumò con la firma separata vanno dunque ricercate altrove; sicuramente nel clima di scontro politico che si fece acuto all’indomani dell’esaurimento dell’esperienza della Solidarietà nazionale; nel bisogno del PCI di recuperare tutti gli spazi di iniziativa anche sul piano sociale e senza tanti riguardi per l’autonomia del sindacato; infine nel progetto di riformismo modernista del PSI che sotto la guida di Bettino Craxi dichiarava apertamente la volontà di contendere al PCI lo spazio politico a sinistra. Su questi temi sono già stati versati torrenti di inchiostro, ma forse qualcosa da dire ancora c’è.

 

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