Memoria (6): come i danesi salvarono i loro ebrei

-di GIULIA CLARIZIA-

La storia degli ebrei danesi è una di quelle storie che, tra le tante tragedie, spicca per il suo lieto fine. Essa dimostra come le cose non succedono per caso, succedono per scelte compiute più o meno consapevolmente. Nulla nella storia è infatti inevitabile e necessario. Tuttavia è raro che le scelte dell’uomo, animale sociale, siano prese in completa autonomia. Sono influenzate dal contesto sociale sia nel male sia, come nel caso della storia che stiamo per raccontare, nel bene.

La Danimarca era stata invasa militarmente nel 1940, senza neanche tentare una difesa che sarebbe stata controproducente. Divenne allora il “protettorato modello”, uno stato considerato in armonia con l’occupazione nazista, disposto a collaborare e ricevendo in cambio il rispetto per la propria identità nazionale. Il sostegno della Danimarca era fondamentale per la guerra dei nazisti. Da lì infatti arrivavano molti prodotti alimentari come la carne e il latte. Il problema, per i gerarchi, era che la monarchia danese, spalleggiata dal suo governo, si era sempre categoricamente rifiutata di inserire le leggi razziali nella loro legislazione. E nel 1943, la cosa iniziava a non essere più tanto gradita.

Nel 1942, dopo la cosiddetta “crisi dei telegrammi”, quando il re Cristiano X rispose ad un lungo messaggio di Hitler con uno striminzito ringraziamento scatenando la furia del Fürer, venne inviato come nuovo plenipotenziario il generale Werner Best, ex membro della Gestapo, prima impegnato in Francia per il governo di Vichy, poi trasferito a Copenaghen per occuparsi dell’amministrazione del paese.

Best era un nazista convinto. È sua la metafora medica del nazista che deve estirpare dalla società gli agenti patologici come gli ebrei e i comunisti. In Danimarca però, sapeva che le cose erano diverse e che la deportazione degli ebrei non sarebbe potuta essere imposta senza gravi conseguenze. Perdere il “protettorato modello” significava perdere importanti rifornimenti. Best in breve tempo imparò a conoscere la popolazione danese, i suoi politici, la sua cultura.

Nell’agosto del 1943 tuttavia, una rivolta della resistenza danese diede ai nazisti il pretesto per introdurre la legge marziale nel paese ed imporre un governo più compiacente, mettendo il re nella condizione di non poter fare nulla. Quello, era il momento per avviare la deportazione, e a suggerirlo è Best, come emerge da un telegramma datato 8 settembre 1943 rivolto al ministro degli esteri di Hitler.

È a questo punto che la storia prende una piega sensazionale. Gli storici non concordano su quale sia stata la scintilla che ha fatto partire il passaparola, se la volontà dello stesso Best o la rabbia di uno dei suoi amici e consiglieri Georg Duckwitz, attendente navale presso l’ambasciata tedesca molto inserito nella società danese e contrario alla deportazione degli ebrei. Fatto sta che iniziò l’operazione di salvataggio che avrebbe messo al sicuro la vita ai più di 7300 ebrei danesi. Il piano era quello di avvisarli che la retata avrebbe avuto luogo il primo ottobre, e quindi dargli la possibilità di nascondersi e fuggire in Svezia passando per lo stretto di Oresund. Determinante fu la posizione della Svezia, che si dimostrò aperta ad accogliere i fuggitivi danesi, contrariamente a quanto era accaduto in precedenza con i francesi. Qualche mese prima infatti, era saltato un accordo che la Svezia, paese neutrale, aveva preso con la Germania e quindi fu possibile per il governo socialdemocratico di Hansson aprire le porte a coloro che erano in pericolo.

Ma ancora più incredibile fu l’atteggiamento della popolazione danese. Non solo i politici, i membri della resistenza e i leader della comunità ebraica contribuirono a diffondere il passaparola, ma cittadini rimasti alla storia senza un nome e senza un volto camminavano per strada e passavano furtivamente le chiavi delle loro case agli ebrei che sapevano essere in cerca di rifugio.

Non mancò chi cercò di arricchirsi. Il passaggio sui mercantili che sarebbero approdati in Svezia aveva un prezzo spesso ben alto e, come oggi accade con gli scafisti, molte famiglie spesero tutto quello che avevano nella speranza di avere salva la vita, e, fortunatamente, così fu per molti.

Quando i nazisti si resero conto della fuga di notizie inviarono pattuglie a controllare i porti e il traffico navale. La cosa sensazionale è che molti chiusero un occhio, probabilmente su richiesta dello stesso Best. Fa scalpore anche che il comandante supremo delle forze tedesche in Danimarca, il generale Von Hannecken, fin da subito rifiutò di inviare i suoi uomini per collaborare alla retata degli ebrei.

Sebbene molti passaggi della vicenda non siano ancora oggi chiari, anche considerando che molte testimonianze risalgono a processi successivi e dunque non è facile capire dove sia la verità, è indubbio che nel caso della Danimarca le scelte dei singoli hanno fatto la differenza.

giuliaclarizia

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