Memoria (5): 27 gennaio, quando Auschwitz svelò il suo orrore

-di GIULIA CLARIZIA-

Era il 27 gennaio 1945 e ad Auschwitz iniziava a nevicare. E mentre cadeva la neve sulla terra bruciata, a ricoprire la fuliggine, l’Armata Rossa sfondava i cancelli e offriva la libertà alle circa 7.650 persone ancora vive e prigioniere.

La Sessantesima Armata del Primo Fronte Ucraino veniva dalla battaglia della Vistola. L’ordine era quello di superare il villaggio di Auschwitz e poi trovare un posto dove stanziare. Quando il filo spinato e i piloni di pietra di Auschwitz-Birkenau apparvero alla vista dei soldati, nessuno aveva idea di quello che avrebbero trovato.

Credevano di trovarsi di fronte ad un normale campo di prigionia, ma una volta varcato il cancello sopra il quale tutt’oggi aleggia il monito “Il lavoro rende liberi”, capirono che c’era qualcosa di diverso.

Non si trattò di un’operazione di liberazione. Il campo era quasi vuoto. Già nel novembre del 1944, Himmler aveva dato l’ordine di cessare le esecuzioni e distruggere le prove del massacro. I nazisti, temendo l’arrivo dei sovietici, avevano già evacuato il campo. Dei numerosi magazzini che contenevano le prove degli orrori perpetrati, la maggior parte furono distrutti. Allo stesso modo, vennero fatti saltare in aria quasi tutti i forni. Era impossibile tuttavia cancellare le prove di quello che stava accadendo.

Per il campo vagavano come fantasmi circa 7650 prigionieri moribondi. Molti altri erano stati condotti a marcia forzata ad ovest, per essere internati in altri campi. Quelli che non furono uccisi dai nazisti, furono abbattuti dalla fame e dal freddo.

L’incontro dei soldati russi con i prigionieri supersiti non fu facile. Chi l’ha vissuto, racconta di come i liberatori non fossero preparati ad affrontare una situazione del genere. Il luogotenente dell’Armata Rossa Ivan Martynushkin racconta della luce negli occhi dei prigionieri. L’unica cosa che lasciasse in loro pensare a un sentimento di felicità. E l’odore. Un’odore di carne bruciata che riempiva l’aria. Tuttavia, non avevano medicine per aiutare gli ammalati né potevano fermarsi, dovevano proseguire verso ovest, perché la guerra era giunta al suo culmine e l’avanzata sovietica non si sarebbe fermata se non a Berlino.

Le immagini che vengono spesso mostrate, in cui i prigionieri vengono soccorsi, sono in realtà di poco successive e in parte costruite dai giornalisti russi accorsi nei giorni seguenti per immortalare il successo dell’Armata Rossa. Primo Levi racconta invece di come all’indomani dell’arrivo dei russi, fossero iniziati a giungere nel capo timidi civili polacchi per aiutare alla meglio a seppellire i morti con dignità, per curare gli ammalati. Un bambino portò una mucca e poi scappò via impaurito.

“Dio è morto nei campi di sterminio” canta Guccini.

Oggi sono passati settantadue anni da quel giorno, che è difficile chiamare felice. Ha messo fine a una tragedia, ma l’ha anche rivelata. Una tragedia così profonda che nel 2005, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha ufficialmente istituito il 27 gennaio come “giornata della memoria”, sebbene alcuni paesi, tra cui l’Italia nel 2000, lo avessero già fatto autonomamente.

Si sono dette tante cose a riguardo, e non sono mancate le polemiche. C’è chi nega l’accaduto, chi denuncia le tanti stragi che sono rimaste senza un giorno per commemorarle, chi lamenta che si parla sempre della shoah, ovvero dello sterminio degli ebrei con la stella di David, senza considerare il triangolo rosa degli omosessuali, quello marrone dei Rom, quello viola dei Testimoni di Geova che si erano rifiutati di aderire al nazismo, il rosso dei progionieri politici e poi ancora criminali, asociali ed emigranti. C’è chi parla di revisionismo perché il ruolo dei sovietici è stato sminuito. Di fronte ai fatti storicamente dimostrati, tuttavia, non c’è negazionismo che tenga.

E poi è davvero opportuno voler trovare il marcio anche in questo? Nel voler ricordare un crimine affinché non venga mai più commesso?

Ricordare non significa solo piangere dei morti. Significa capire come questo è potuto accadere. Lo storico in questo svolge il suo compito più delicato. Fiumi di parole sono state versate sulla drammatica vicenda dei campi di sterminio. Sicuramente non sono mancate quelle fuorvianti. Allora oggi, nel giorno della memoria partiamo dalla storia.

Era il 27 gennaio 1945 e iniziava a nevicare ad Auschwitz.

giuliaclarizia

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