-di VALENTINA BOMBARDIERI-
Era il 9 gennaio 1855 quando nacque Anna Kuliscioff, da una ricca famiglia di mercanti ebrei a Moskaja. Si trasferì nel 1871 a Zurigo per studiare poiché in Russia non era consentito l’accesso all’università alle donne. Il suo animo rivoluzionario si vide fin dalla giovane età. Nel 1873, fu ordinato agli studenti russi di abbandonare l’università di Zurigo perché le giovani russe si recavano all’estero non per assecondare il demone degli studi, ma per abbandonarsi agli “impulsi del libero amore”, proprio in quell’occasione Anna in un gesto provocatorio strappò il libretto degli esami.
Tornata in Russia si avvicinò ad Andrea Costa, con il quale ebbe una relazione, si trasferirono a Parigi per collaborare all’Internazionale di Kropotkin. Si susseguirono anni difficili, anni di repressione durissima, che li vide entrambi al centro di processi e arresti. Quando il rapporto arrivò al capolinea per la gelosia di lui Anna rispondeva «Io alla fine vedo una cosa: agli uomini come sempre è permesso tutto, la donna deve essere di loro proprietà. La frase è vecchia, banale, ma ha le sue ragioni d’essere e l’avrà chissà per quanto tempo ancora». Un pensiero innovativo per il tempo. Con Andrea Costa ebbe una figlia con cui si trasferì prima a Napoli, poi a Torino e a Padova. Infine a Milano dove, dopo aver terminato gli studi di medicina, si dedicò alla cura delle persone più povere, guadagnandosi il soprannome di “dottora dei poveri”.
È proprio a Milano che raggiunse il culmine della formazione. Viene a contatto con personalità di spicco del panorama italiano. La passione e l’amore per l’impegno politico si resero sempre più chiari nell’intervento “Il Monopolio dell’uomo” del 1890 al Circolo filologico di Milano. Un intervento illuminante che analizza la questione femminile in modo chiaro e profondo. Una sferzata al maschilismo, alla mentalità chiusa e alla anormalità di secoli di dominio dell’uomo sulla donna.
“Se l’inferiorità della donna nasce dai privilegi maschili, superarla risulta certo assai difficile perché il predominio dell’uomo esce come consacrato da schemi sociali giuridici e politici che affondano le loro radici nella notte dei tempi e che da qui, sull’onda lunga della storia, giunge fino ai moderni a rinsaldare la catena della subordinazione femminile.”
La principale protagonista del femminismo italiano nel 1885 trasformò il salotto di casa nella redazione di “Critica sociale”, la rivista del socialismo riformista italiano, che Anna diresse insieme a Filippo Turati, a cui era legata sentimentalmente, fino al 1891. L’anno successivo la giovane Anna fu tra i fondatori del Partito dei Lavoratori Italiani, che nel 1895 assumerà il nome definitivo di Partito Socialista Italiano. Partito all’interno del quale Anna elaborò un testo di legge per la tutela del lavoro minorile e femminile che, presentata al Parlamento dal PSI, venne approvata nel 1902 come legge Carcano, n 242. Una vittoria, per l’epoca, nella tutela di donne e bambini. Veniva fissato a 12 anni il limite di età per l’ammissione al lavoro dei fanciulli, per alcuni lavori il limite diventò di 15 anni. Per quanto riguarda le donne la legge fissava un massimo di 12 ore di lavoro giornaliere, con una pausa di due ore, e vietava per le donne minorenni il lavoro notturno.
Fu introdotto per la prima volta il congedo di maternità, che consisteva alle donne in un riposo obbligatorio di quattro settimane dopo il parto. Alle neo mamme venne permesso per la prima volta l’allattamento, o in una “camera d’allattamento” dello stabilimento, che divenne obbligatoria in presenza di cinquanta operaie, o con l’uscita dal posto di lavoro nei modi e tempi definiti da un regolamento interno.
Proprio grazie a “Critica Sociale” e al Partito Socialista Italiano Anna Kuliscioff riuscì a portare avanti la sua più grande battaglia: il suffragio universale, della quale fu valido alleato Gaetano Salvemini.
Erano i primi anni del Novecento e il dibattito era se estendere il voto ai cittadini maschi analfabeti. Delle donne nessuna menzione. Anna Kuliscioff chiedeva il diritto di voto per le donne, non solo per le donne appartenenti a determinate categorie sociali perché: «Direte, nella propaganda, che agli analfabeti spettano i diritti politici perché sono anch’essi produttori. Forse le donne non sono operaie, contadine, impiegate, ogni giorno più numerose? Non equivale, almeno, al servizio militare, la funzione e il sacrificio materno, che dà i figli all’esercito e all’officina? Le imposte, i dazi di consumo forse son pagati dai soli maschi? Quali degli argomenti, che valgono pel suffragio maschile, non potrebbero invocarsi per il suffragio femminile?», queste le sue parole.
Nel 1912 arriva la sconfitta. Il governo Giolitti approva una legge che concede il voto a tutti gli uomini alfabeti che abbiano compiuto i ventuno anni di età, e a tutti i maschi analfabeti che abbiano raggiunto i trent’anni. Fu così che il 7 gennaio del 1912 fonda la rivista bimestrale “La Difesa delle Lavoratrici”, che dirigerà fino al 1914 insieme a Carlotta Clerici, Linda Malnati e Angelica Balabanoff.
Morì nel 1925 e Pietro Nenni la ricordò così: “I funerali erano stati un’apoteosi per lei e per il sopravvissuto suo compagno. Ma, ai fascisti, anche l’omaggio reso a una donna insigne per sapere, preclara per carattere, da tutti stimata per la bontà senza pari, era riuscito intollerabile. Sui gradini stessi del Monumentale, mentre a mò di saluto io gridavo “Viva il socialismo!”, fummo aggrediti. Attorno alla bara, attorno alle corone e ai nastri, ci fu una zuffa breve e feroce dalla quale parecchi uscimmo sanguinanti e pesti. Ed era triste pensare che ciò avvenne in un cimitero e davanti alla salma di una donna che, con tutta la sua anima, con tutta la sua intelligenza aveva auspicato pace, giustizia e fraternità”.
Il sogno di Anna Kuliscioff si avverò molti anni dopo, nel 1946, dopo vent’anni di fascismo e dopo la seconda guerra mondiale. Il sogno di una donna definita da Antonio Labriola come “l’unico uomo del socialismo italiano”.
E a tanti anni dalla sua morte le sue parole suonano ancora un monito attuale: “Mi auguro, per il trionfo della causa del mio sesso, solo un po’ più di solidarietà fra le donne. Allora forse si avvererà la profezia del più grande scrittore del nostro secolo – Victor Hugo – che presagì alla donna quello che Gladstone presagì all’operaio: che cioè il secolo XX sarà il secolo della donna”.