(Mis)fatti dei sacchetti a pagamento

-di VALENTINA BOMBARDIERI-

Finito di brindare al nuovo anno gli Italiani sono tornati al supermercato. Nei reparti dove si vendono frutta e verdura fresche già da giorni campeggiavano i cartelli: si ricorda ai clienti che i sacchetti di plastica dove vengono frutta, insalata, pane e carne e tutta l’altra merce hanno dal 1 gennaio un costo aggiuntivo che può variare da 2  a 10 centesimi al pezzo. Ma andiamo per gradi.

Il 17 agosto mentre gli Italiani erano sotto l’ombrellone a godersi le meritate ferie, il Partito democratico approva un emendamento presentato al decreto legge sul Mezzogiorno. L’intento iniziale dell’emendamento era quello di rispettare la direttiva Europa che impegna i Paesi membri a consumare meno plastica. E fino a qui tutto bene (per modo di dire), perché i sacchetti non sono riciclabili, però a ognuno di noi interessa il buco dell’ozono, l’inquinamento atmosferico e il prosciugamento dei ghiacciai e via dicendo. Se però vi interessasse così tanto non voler proprio usare la plastica e voleste decidere di portarvi un sacchetto da casa, proprio come si usa ora con quelle buste della spesa che ci occupano il portabagagli della macchina, non si può fare, per questioni di igiene si dice. Quindi ricapitolando le buste non sono riciclabili e non si possono portare da casa vanno quindi acquistate.

Proviamo quindi a fare due conti. Le buste vengono prodotte da una azienda che si chiama Novamont. Proprio quella azienda dove il 15 novembre scorso Renzi ha fatto tappa con il treno del Pd.

L’amministratrice delegata, come denunciano oggi il Giornale e altri siti, è Catia Bastioli. Manager della chimica verde e amica del segretario del Pd. La dottoressa Bastioli ha partecipato come oratore alla seconda edizione della Leopolda e nel 2014 è stata nominata presidente di Terna, colosso che gestisce le reti dell’energia elettrica del Paese ed è stata nominata lo scorso anno cavaliere del lavoro da Mattarella. Saranno coincidenze?

Ma a quanto ammonta questo giro di soldi che riguarda i sacchetti?
Il Giornale fa due conti: “L’azienda che guida è l’unica italiana che produce il materiale per produrre i sacchetti bio e detiene l’80% di un mercato che, dopo la legge, fa gola: inizialmente i sacchetti saranno venduti in media a due centesimi l’uno. Le stime dicono che ne consumiamo ogni anno 20 miliardi. Potenzialmente dunque, è un business da 400 milioni di euro l’anno”. Anche per lo Stato, perché parte del ricavo verrà poi versato dagli esercenti in forma di Iva e imposta sul reddito.

Oltre al prosciugamento dei ghiacciai sembra nascere la necessità di preoccuparsi del prosciugamento delle tasche degli Italiani all’alba di un nuovo anno che promette aumenti su tutti i fronti.

 

Valentina Bombardieri

One thought on “(Mis)fatti dei sacchetti a pagamento

  1. Molto interessante. Però i supermercati pagavano i sacchetti alle aziende produttrici anche prima. Ora li pagano i consumatori al supermercato. Quindi le aziende produttrici, in teoria, dovrebbero soltanto perderci, perché i consumatori risparmieranno sacchetti, proprio come è accaduto con le borse di plastica che si pagano alla cassa. Ne teniamo, come si scrive giustamente nell’articolo, nel bagagliaio dell’auto, per non spendere inutilmente. Ora prenderemo meno sacchetti di plastica per confezionare frutta e verdura, il supermercato lucrerà su di noi consumatori, le aziende produttrici di sacchetti dovrebbero perderci qualcosa. Secondo la legge della domanda e dell’offerta, se aumenta il prezzo, diminuisce la domanda. Qui si passa da gratis a 2 centesimi, che anche se rimangono due, comunque si passa a pagare. Ci guadagnano i supermercati.

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