Russiagate: ecco le conferme

-di FEDERICO MARCANGELI-

Che i russi avessero cercato di influenzare le elezioni americane non è una novità, ma le conferme ufficiali sono sempre state un po’ frammentarie (anche per l’ostruzionismo del neo-presidente). Oggi è arrivata però una notizia che darebbe un’ulteriore conferma di questa manipolazione. Twitter ha infatti annunciato di aver chiuso oltre 200 account legati ad ambienti filorussi, di cui 3 gestiti da Russia Today. Il canale TV satellitare è tra le emittenti russe più diffuse al mondo ed il suo appoggio al presidente Putin è noto a tutti. Nel 2016 il network ha investito ben 274.000 dollari per promuovere i 1823 tweet dei succitati account, al solo scopo di influenzare le elezioni americane.

I dati non sono ipotetici, ma sono stati diffusi dal vice presidente dell’azienda Colin Crowell. Il manager si occupa anche delle relazioni istituzionali ed è stato sentito in questi giorni dalle commissioni di Camera e Senato impegnate nel Russiagate. L’azienda ha inoltre dichiarato di “rispettare profondamente l’integrità del processo elettorale, pietra miliare di tutte le democrazie” e aggiunge: “Continueremo a rafforzare la piattaforma contro i tentativi di manipolazione”. Ma la vicenda non si concluderà qui. Secondo alcuni media USA, il 1° Novembre sono stati invitati a comparire davanti al Congresso i top manager delle compagnie americane protagoniste della vicenda: Facebook, Twitter e Alphabet (la controllante di Google).

La domanda che ora sorge spontanea è: se i russi hanno influenzato un evento sotto i riflettori come le elezioni, è plausibile che possano intervenire anche in periodi più in ombra? La risposta è: si. Anche in questi ultimi giorni sembra che i troll sovietici stiano manipolando l’opinione pubblica (social) americana. L’ultimo caso è stato quello della vicenda “Trump vs Nfl”, in cui il presidente ha attaccato i giocatori di football in protesta contro il suo operato. Attraverso un’abile operazione di “alimentazione dei trend”, lo staff di Trump, supportato (incosapevolmente o meno non lo sappiamo) dai russi, ha distolto l’attenzione dallo scandalo mail che stava affossando il genero del presidente. Il marito di Ivanka avrebbe infatti utilizzato server non protetti durante la campagna, un’azione simile a quella compiuta dalla Clinton durante il suo impegno istituzionale (tanto criticata dai repubblicani).

Gli ulteriori sviluppi di questa vicenda sono tutti da seguire e fanno riflettere sul grande ruolo dei social network. Delle piattaforme (private) di propaganda incontrollabili e senza regole, che possono diventare delle armi potentissime contro la democrazia.

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