“Fuori d’Italia non serviamo a nulla”: L’antifascismo della Mazzini Society

-di GIULIA CLARIZIA-

Fuori d’Italia non serviamo a nulla, siamo degli sradicati”. Così parlava Gaetano Salvemini in una lettera scritta ad Ernesto Rossi nel 1925.

Lo stesso Salvemini, spinto dalla voglia di agire per la propria patria sebbene a distanza, il 24 settembre 1939 promosse la fondazione della Mazzini Society a New York, un’associazione di antifascisti democratici e liberali emigrati negli Stati Uniti.

Durante il ventennio fascista infatti, furono molti i politici e gli intellettuali che scelsero la via dell’esilio e che lì diedero vita a partiti ed organizzazioni che in Italia non potevano vedere la luce del sole.

I “fuoriusciti”, come gli stessi si definirono facendo proprio un termine in realtà nato in ambienti fascisti con un senso dispregiativo, vissero quegli anni con lo sguardo ed il cuore sempre rivolto alla patria in un clima di perenne spaesamento, come testimoniato dalle lettere che in quel periodo conobbero un esponenziale incremento.

Questo fenomeno, che gli stessi protagonisti valutarono in maniera contraddittoria e spesso in comparazione con chi aveva invece scelto di restare, portò al fermento politico e culturale di cui fu figlia la Mazzini Society, riprendendo idee e concetti già nati nei circoli di Giustizia e Libertà in Francia.

Non fu casuale che essa nacque nel settembre del 1939. Se è vero che Salvemini già dal 1938 aveva in mente di dar vita ad un’organizzazione antifascista negli USA, dopo l’andamento della guerra civile spagnola a favore delle forze franchiste, l’occupazione della Cecoslovacchia da parte di Hitler e l’invasione dell’Albania da parte di Mussolini, ma soprattutto dopo lo scoppio della guerra con l’invasione della Polonia, si accese tra gli esuli la necessità di assumersi una responsabilità comune.

Neanche il nome fu casuale. La Mazzini Society si rifaceva esplicitamente a ideali risorgimentali e repubblicani.

Inizialmente associazione culturale caratterizzata da attività di informazione ed educazione, soprattutto rivolta ai circoli italo-americani dove erano diffuse simpatie verso il fascismo, la Mazzini cambiò la sua natura nel corso del 1940 e del 1941. L’entrata dell’Italia in guerra e poi l’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto, cambiavano radicalmente le carte in tavola. Il filo-fascismo non era più tollerabile. Italo-americani influenti come Generoso Pope, proprietario del quotidiano Il Progresso, si convertirono alla causa democratica con un formidabile voltafaccia, e sebbene indignati, gli anti-fascisti autentici potevano adesso essere un interlocutore per il governo americano. La caduta della Francia, poi, aveva comportato un arricchimento delle file della Mazzini che accolse numerosi esuli che in prima battuta si erano rifugiati in Francia. Tra questi vi erano il conte Carlo Sforza e Randolfo Pacciardi, che fecero della Mazzini Society un’organizzazione non più culturale, ma politica a tutti gli effetti. Ormai orfana del proprio padre- Salvemini (si allontanò ben presto dai circoli dell’organizzazione a causa di divisioni interne), la Mazzini divenne il polo attrattivo delle organizzazioni antifasciste nelle Americhe. Suo obiettivo principale era quello di ottenere un riconoscimento politico da parte dei vertici statunitensi, volendo istituire un governo in esilio sullo stampo di quello gaullista, oltre all’organizzazione di una legione di combattenti che sarebbe dovuta essere capeggiata da Pacciardi.

Il modo condizionale lascia intendere il fallimento con cui dovettero scontrarsi gli uomini della Mazzini. Gli Stati Uniti, presi più che altro dalle logiche di guerra e dai negoziati inter-alleati, non ebbero mai un reale interesse nell’appoggiare gli antifascisti della Mazzini Society, che comunque, a causa dei loro disguidi interni non avrebbero mai potuto ottenere la legittimità necessaria per rappresentare con un governo in esilio gli antifascisti in generale.

Tuttavia la storia della Mazzini Society, nonostante il suo sostanziale fallimento sul breve periodo, merita di essere ricordata. Una volta rientrati, i fuoriusciti non dimenticarono l’esperienza e i legami conosciuti in esilio. Essi ebbero un ruolo attivo nella costituzione della Repubblica nell’immediato dopoguerra, e proprio Sforza e Pacciardi, da ministri degli esteri e della difesa, contribuirono in larga misura alla costituzione dell’alleanza tra Italia e Stati Uniti che portò il nostro paese nel blocco occidentale e nella NATO.

giuliaclarizia

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