Oltre l’insicurezza sociale, una nuova utopia

 

-di MAURIZIO BALLISTRERI-

Siamo nell’era dell’insicurezza sociale in Italia, in Europa e nel Mondo. Le crisi geopolitiche prodotte dal terrorismo dell’Isis, dall’instabilità medio-orientale e dal suo epicentro rappresentato dalla questione-palestinese; la deflazione europea figlia dell’austerità imposta dalla Germania, con la crisi della domanda, della produzione e dell’occupazione, in cui si inserisce il buco nero politico ed economico della Grecia; i segnali preoccupanti di una nuova crisi globale come quella derivante dai mutui subprime del 2008 negli Stati Uniti, che non risparmia le economie emergenti; la terribile minaccia nucleare del viene dalla Corea del Nord, con un novello dottor Stranamore, senza dimenticare i cataclismi prodotti dai mutamenti climatici.

Si potrà obiettare che si tratta di una visione apocalittica, magari qualcuno come i teorici della “decrescita” alla Serge Latouche rilancerà le ricette del “catastrofismo illuminato”, ma non vi è dubbio che viviamo gravi problemi planetari legati alla finanza globale, in Europa alle politiche monetariste, nella quale le spinte convergenti del populismo e dell’antipolitica si devono contrastare con il rafforzamento politico dell’Unione europea e con l’abbandono delle politiche di austerity.

Suonano davvero profetiche le analisi del sociologo tedesco, scomparso il Capodanno del 2017, Ulrich Beck, sulla “società del rischio”. Secondo uno dei maggiori sociologi del ‘900, che ha elaborato alcuni dei paradigmi fondamentali della scienza sociale del nostro tempo, si pensi a quelli della “modernità riflessiva” e dell’“individualizzazione”, i processi di modernizzazione delle società che avevano contribuito alla liberazione dell’umanità da antichi vincoli, si sono bloccati, trasformandosi da vantaggi in disvalori.

Ma la risposta teorica di Beck a questi rischi non è mai consistita in una chiusura verso il progresso, poiché la modernizzazione non può e non deve essere fermata né ripercorsa all’incontrario. Un’idea di progresso certamente non legata ad alcuna “filosofia della Storia”, letta hegelianamente, ma di tipo volontaristico, dentro l’idea delle “società aperte” di stampo popperiano.

E, forse, sull’onda del ritorno all’utopia, in cui, per dirla con il Kant della “Critica alla ragion pratica”, “l’attrito del reale permette alla colomba di volare”, si può tentare di andare oltre il “pessimismo della ragione” descritto da Gramsci, per riconquistare, almeno, la speranza della felicità, di cui i grandi utopisti, da Tommaso Moro a Francesco Bacone, da Tommaso Campanella a Giordano Bruno a Robert Owen ci hanno indicato come conquista collettiva.

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