Agosto 1945: quando il Giappone conobbe l’inferno

-di GIULIA CLARIZIA-

6 agosto 1945. Gli Stati Uniti, con la complicità degli Alleati, per la prima volta nella storia impiegarono la bomba atomica su Hiroshima.

In pratica fu il meteo a decidere le sorti di centinaia di migliaia di persone. Fra i bersagli selezionati, quel giorno a Hiroshima il cielo era limpido.

Erano da poco passate le otto. In Giappone era suonato il cessato allarme. Pochi aerei ad una quota così elevata apparentemente non rappresentavano un pericolo. Poi un terribile boato, lampi di luce, l’esplosione, fumo, calore. La confusione del non capire cosa stesse avvenendo esattamente, ma la precisa consapevolezza di trovarsi nel mezzo di una tragedia. Intanto il fungo atomico riempiva il cielo sopra Hiroshima.

Le testimonianze degli hibakusha, letteralmente “persone esposte alla bomba” sopravvissute per raccontarlo sono strazianti, come quella di Akihiro Tahakashi che parlò in occasione della Terza conferenza internazionale per la messa a bando dell’Uranio Impoverito nel 2006.

A seminare morte e devastazione non fu solo l’impatto dell’esplosione, ma anche gli incendi che bruciarono le macerie bollenti e una terribile pioggia nera radioattiva. Forse neanche con la più fervida immaginazione da generazione cresciuta con videogames e film apocalittici potremmo comprendere come nel 1945 si sia conosciuto l’inferno sulla terra. E per ben due volte. Tre giorni dopo “little boy” a Hiroshima, Nagasaki conobbe “Fat man”. Perché infliggere alla popolazione civile giapponese un colpo così duro? Chi ragiona più freddamente potrebbe rispondere che, in guerra, è logico usare ogni mezzo possibile per abbattere il nemico. Eppure ci sono dei crimini che neanche in guerra sono permessi, e infatti il Giappone denuncia a gran voce l’uso dell’atomica come crimine contro l’umanità. La stessa umanità che in quei giorni di agosto si è duramente scontrata con i freddi calcoli di una guerra che durava da sei anni e alla quale si voleva porre una fine.

La motivazione portata avanti dal presidente americano Henry Truman fu proprio questa. Se i giapponesi non si arrendono alle nostre condizioni, bisognerà utilizzare le armi di distruzione di massa per far sì che la guerra finisca senza un ulteriore dispendio di vite e di soldi. Meglio 100.000 giapponesi oggi, che chissà quanti mesi ancora di guerra domani. Un “male necessario”, come venne chiamato uno dei tre aerei che sorvolò Hiroshima quel giorno. Tuttavia, l’impero giapponese, portatore di valori di orgoglio ed onore per antonomasia, non si arrese alle condizioni che erano state precedentemente stabilite dagli Alleati durante la conferenza di Potsdam.

L’8 agosto, anche l’Unione Sovietica dichiarò guerra al Giappone, e il 9 arrivò la seconda atomica, anch’essa sganciata non su obiettivi militari, ma civili. Il 15 agosto 1945, in ginocchio, il Giappone accettò la resa incondizionata.
La seconda guerra mondiale effettivamente finì, al prezzo di circa 200.000 morti, praticamente tutti tra i civili. Senza contare chi morì in seguito a causa delle radiazioni, e chi invece non morì, ma fu costretto a una vita a metà a causa delle menomazioni subite.

Come è noto, la corsa al nucleare non si arrestò dopo la guerra, divenendo una delle caratteristiche principali della guerra fredda. E d‘altronde, alcuni storici fanno risalire le rivalità tra Stati Uniti e URSS già alla base del lancio delle bombe sul Giappone, come prova di forza.
Ne risulta oggi una tecnologia nucleare avanzata e posseduta da diversi paesi (laddove l’ultima arrivata, la Corea del Nord diventa di giorno in giorno più minacciosa), tecnologia ben più letale delle bombe a uranio e plutonio sganciate nel 1945. Le campagne portate avanti negli anni contro le armi nucleari sono numerose, sia da parte della società civile, sia a livello di politica internazionale. Tuttavia, ad oggi solo il Sudafrica, da paese nuclearizzato, ha scelto di convertire l’arsenale atomico in materiale ad uso civile.

Se un giorno si dovessero dimenticare le conseguenze devastanti che i giapponesi hanno subito letteralmente sulla propria pelle, tutti questi arsenali che ad oggi i paesi “nuclearizzati” hanno sviluppato più per essere temibili sullo scacchiere internazionale che per usarli distruggendo il pianeta, potrebbero diventare preoccupanti, soprattutto se il dito dietro al bottone rosso per sganciare è quello di qualche presidente irresponsabile.

giuliaclarizia

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