-di GIANCARLO MERONI-
La Costituzione spagnola è stata approvata nel 1978 con una larga maggioranza, comprendente i principali partiti di sinistra, di destra e di centro e quindi attraverso un processo di amalgama di concezioni politiche, sociali, ideologiche, tanto più difficile in quanto i principali partiti in campo, socialisti, comunisti, cattolici clericali, reazionari e moderati, liberal democratici erano gli eredi di una sanguinosa guerra civile e le vittime o i protagonisti di una dittatura quasi quarantennale la cui impalcatura giuridica e istituzionale era ancora in parzialmente in piedi. Il fatto, poi, che il percorso di trasformazione del regime franchista avvenisse attraverso una procedura immaginata e predisposta dallo stesso Caudillo con l’intento gattopardesco di cambiare tutto per non cambiare niente, rendeva ancora più complesso il passaggio dai principi democratici e liberali su cui si incardinava la Costituzione alla costruzione di un ordinamento giuridico capace di configurare un sistema di norme e leggi con essi coerenti e applicabili alla concreta realtà sociale, economica e culturale di una società democratica.
Il problema più arduo da risolvere era quello di riuscire a scardinare la macchina burocratica e corporativa che ostacolava o tentava di snaturare l’attuazione delle riforme prescritte dal testo costituzionale anche con l’appoggio e la pressione politica delle forze sociali ed economiche che si erano identificate nel regime franchista, in un sistema statalista, corporativo e protezionista e si erano radicate nella mentalità corrente; temi, questi ben noti anche nel nostro Paese. Le affinità culturali e storico-politiche e le problematiche ad esse collegate, sebbene in contesti diversi, nell’itinerario della transizione verso la piena attuazione del sistema democratico hanno generato un particolare interesse del mondo politico e culturale spagnolo verso l’esperienza italiana.
Grazie alla rete di rapporti tessuta durante tutto il periodo della dittatura franchista fra organizzazioni politiche, sociali, culturali dei due paesi, si era sviluppato un confronto fruttuoso, arricchito da amichevoli rapporti personali, su tematiche innovative in campo sociale che erano state al centro dell’esperienza italiana, specie nell’ambito del diritto del lavoro, delle relazioni industriali e sindacali e del welfare. Nella fase transitoria di costruzione e definizione della Carta costituzionale vi fu un’attività intensa di discussione ed elaborazione fra i rappresentanti dei sindacati italiani e di quelli spagnoli in clandestinità ed in esilio sui temi del lavoro e dei diritti dei lavoratori che furono particolarmente intensi negli anni ’70. I sindacati più rappresentativi, le Comisiones Obreras di ispirazione comunista, l’UGT a maggioranza socialista. L’USO di origine cattolica, avevano le loro rappresentanze in Italia e partecipavano, insieme a CGIL CISL e UIL, alla vita politica e sindacale a livello nazionale e nelle organizzazioni internazionali a cui appartenevano.
In quegli anni era in piena effervescenza il dibattito sull’unità sindacale, che si intrecciava con i temi del confronto politico fra comunisti, socialisti e mondo cattolico, sul ruolo dell’Europa e sulla connotazione delle sue politiche economiche e sociali. In questo contesto si muoveva anche il mondo intellettuale ed accademico dei due Paesi. L’attenzione si concentrava particolarmente sul terreno del lavoro e dei diritti dei lavoratori che costituivano uno dei pilastri della nuova architettura dei modelli costituzionali adottati dalla maggioranza dei paesi europei.
La focalità del tema del lavoro nelle Costituzioni europee è dimostrata dal grande rilievo che hanno in esse le norme prescrittive in materia sociale e dei diritti individuali e collettivi dei lavoratori. Il carattere fondativo del lavoro e del ruolo sociale e democratico dello Stato raggiunge il suo vertice nella Costituzione italiana che sancisce all’articolo 1 che “l’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro” Siamo, qui, di fronte ad una formulazione che trascende la definizione di un ordinamento giuridico o di un concetto sociopolitico per affermare un principio universale sulla base del quale si deve misurare la concretezza dei diritti e delle libertà umane. Su questo principio e sui valori che rappresenta si incardina il sistema di norme che disciplina specificamente, nei diversi capitoli della Carta, i rapporti di lavoro, i diritti soggettivi, l’autonomia collettiva, i compiti dello Stato in materia sociale; l’attuazione di queste disposizioni richiedeva un’attività legislativa ad hoc, in particolare per quanto riguarda la loro applicazione nelle imprese. Le grandi lotte sindacali della fine degli anni ’60 avevano rafforzato il peso dei sindacati e ridefiniti i rapporti e le condizioni di lavoro al loro interno. Nello stesso tempo si era modificato il quadro politico con la costituzione di un governo di centro-sinistra in cui i socialisti coprivano alcuni ministeri chiave come quello del lavoro e della previdenza sociale, di cui era titolare Giacomo Brodolini, con cui collaborarono illustri giuslavoristi come Federico Mancini e Gino Giugni, promotori di in nuovo paradigma del diritto del lavoro In questo contesto prese forma la proposta di uno Statuto dei lavoratori che fu trasformata nella legge. n. 300/1970, contenente «norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento»: senza dubbio una pietra miliare nello sviluppo delle relazioni industriali nel nostro Paese, ma anche un modello applicabile alla situazione spagnola e quindi oggetto di dibattito già nella fase transitoria del processo di democratizzazione.
In materia di lavoro e di diritto del lavoro la Costituzione spagnola non si discosta dai sistemi costituzionali europei: i principi fondamentali su cui poggia sono dettati negli articoli 1 e 35 che recitano:
Articolo 1
- La Spagna si costituisce come Stato sociale e democratico di diritto che propugna come valori superiori del suo ordinamento giuridico la libertà, la giustizia, l’eguaglianza e il pluralismo politico. Articolo 35
- Tutti gli spagnoli hanno il dovere di lavorare e il diritto al lavoro, alla libera scelta di professione e ufficio, alla promozione attraverso il lavoro e a una remunerazione sufficiente per soddisfare le necessità loro e della loro famiglia, senza che in nessun caso possa farsi discriminazione per ragioni di sesso.
- La legge regolerà uno statuto dei lavoratori.
La peculiarità di questo schema è la costituzionalizzazione della norma che prescrive l’emanazione di una legge che regoli uno statuto dei lavoratori.
Il riferimento testuale ad uno” Statuto dei lavoratori” non è casuale, ma rimanda chiaramente alla legge italiana omologa del 1970. Come sottolinea Gino Giugni in un intervento (di cui abbiamo una trascrizione nel Fondo Giugni dell’Archivio Nenni) richiestogli nel 1979 dal professor Bengoechea direttore dell’Istituto di studi sociali del Ministero del Lavoro, “il progetto di Statuto spagnolo incorpora i punti più innovativi di quello italiano, alcuni dei quali non si riscontrano in altre legislazioni” L’influenza italiana appare quindi inequivocabile ed è confermata anche nella prolusione pronunziata del professor Duran in occasione della laurea honoris causa conferita a Mancini dall’Università di Cordoba in cui dichiara “con i colleghi italiani abbiamo riscontrato importanti possibilità di comunicazione. Abbiamo studiato con loro, seguito i loro dibattiti, abbiamo esercitato sulle loro normative e sulla loro realtà la riflessione che qui ci era vietata. Questo è un immenso debito di riconoscenza.”
Il carteggio fra il ministero del lavoro spagnolo, mediante l’Istituto di studi sociali, e Giugni mostra che il coinvolgimento italiano nell’impostazione e nell’elaborazione dello Statuto fino alla sua approvazione nel 1994, è stato costante e ha contribuito in modo significativo all’animato dibattito che su di esso si è sviluppato fra le forze politiche e fra i sindacati dei lavoratori e le organizzazioni imprenditoriali. La posta in gioco atteneva ad un punto chiave nei rapporti di forza fra lavoratori e imprenditori: la libertà nel posto di lavoro. Questo obiettivo determinante, spiega Giugni nell’intervento citato, si persegue attraverso due direttici fondamentali: la tutela della personalità civile e politica del lavoratore, l’appoggio all’espressione organizzata dell’opposizione e della contestazione nel luogo d lavoro mediante norme di sostegno all’azione collettiva che, secondo le intenzione del legislatore, si esprime essenzialmente attraverso il sindacato.
Lo scopo dello Statuto era, dunque, quello di fare del sindacato il protagonista del conflitto nell’ambito dell’impresa. Beninteso non nel senso che il suo ruolo sia necessariamente conflittuale, ma che esso sia il soggetto abilitato a promuovere e, conseguentemente, a regolare il conflitto. Lo Statuto veniva, quindi, concepito come il quadro regolativo dello status giuridico del lavoratore nel luogo di lavoro, in applicazione dei principi costituzionali. Secondo l’aforisma in auge in quegli anni: bisogna fare entrare la Costituzione nell’impresa e nel luogo di lavoro. Si trattava, quindi, di un tema di rilevanza nazionale che travalicava i confini del diritto del lavoro per disegnare un modello istituzionale di relazioni sociali che interpretasse concretamente i valori costituzionali. Il percorso politico e sociale per creare le condizioni per togliere all’imprenditore il monopolio del potere nell’impresa e fare entrare la Costituzione nel posto di lavoro è durato, dal ritorno della democrazia, decenni di lotte dure e, talvolta, cruente. Per la Spagna la strada è stata più breve e, fortunatamente, meno traumatica, anche se il confronto è stato difficile. Possiamo comunque compiacerci di aver contribuito a costruirla e partecipato a percorrerla fino alla meta.