–di FEDERICO MARCANGELI-
La proposta di legge Fiano è scritta male e pensata peggio. Lungi da me perorare la causa dei beoti neofascisti, ma questo disegno ha delle grosse lacune ed apre degli interrogativi sulla qualità della classe politica italiana. Partiamo dal primo punto: la stesura. Con il testo attualmente proposto, il rischio di incostituzionalità è forte. La norma punta infatti a punire con la reclusione da 6 mesi a due anni “chiunque propaganda le immagini o i contenuti propri del partito fascista o del partito nazionalsocialista tedesco, ovvero delle relative ideologie, anche solo attraverso la produzione, distribuzione, diffusione o vendita di beni raffiguranti persone, immagini o simboli a essi chiaramente riferiti, ovvero ne richiama pubblicamente la simbologia o la gestualità”.
Il succo del discorso è che anche il solo elogio del ventennio potrebbe essere oggetto di carcerazione (o comunque di condanna penale). Il cuore e/o i personali posizionamenti potrebbero anche indurci a sostenere la fondatezza e accettabilità della condanna, ma uno stato di diritto, democratico e liberale, deve considerare il reato in maniera oggettiva e non soggettiva.
Sull’argomento la Corte Costituzionale si pronunciò il 16 Gennaio 1957 (sentenza 1), rispondendo al vizio di legittimità sollevato nei confronti della legge 645/1952 (più comunemente nota come legge Scelba). La norma in questione (tutt’ora in vigore) punisce “chiunque promuove, organizza, dirige o partecipa ad associazioni, movimenti o che perseguono finalità antidemocratiche proprie del partito fascista”. In quel caso la Suprema Corte ne dichiarò la piena legittimità, poiché “l’apologia del fascismo, per assumere carattere di reato, deve consistere non in una difesa elogiativa, ma in un’esaltazione tale da potere condurre alla riorganizzazione del partito fascista. Ciò significa che deve essere considerata reato non già in sé e per sé, ma in rapporto a quella riorganizzazione” (una interpretazione che consentì l’applicazione della normativa a casi concreti come Ordine Nuovo o Avanguardia Nazionale). Una legge peraltro già molto severa su questo punto, punendo la propaganda idonea ad organizzare un gruppo di 5 o più persone. In parole povere, non dobbiamo attendere un nuovo Partito Fascista per vedere qualche arresto, ma basta un’associazione di dimensioni anche ridottissime.
Proprio su questo punto la proposta Fiano inciampa: si punisce l’espressione del pensiero (in violazione dell’articolo 21 della Costituzione) e non il rischio concreto che la Repubblica correrebbe nel caso venissero organizzati partiti che con i metodi fascisti e nazisti (cioè violenti) puntassero alla conquista del potere (preoccupazione che mosse i costituenti quando nella XII disposizione transitoria affermarono che “è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”).
Oltre a questo possibile vizio di costituzionalità, la stessa “ratio” della legge presenta delle incongruenze che in pochi hanno sottolineato presi com’erano dal furore polemico e dai bisogni propagandistici. L’ideologia fascista non si elimina con questo genere di repressione, soprattutto in un Paese in cui ormai veramente pochi riescono a cogliere il senso e lo spirito della Costituzione, a leggere con chiarezza le sue radici e le sue finalità, tanto da produrre ogni anno in occasione del 25 aprile, data fondante della Repubblica, litigi imbarazzanti sul senso di una festività che dovrebbe essere per noi quello che è il 14 luglio per i francesi. Per comprendere meglio le intime contraddizioni del provvedimento si potrebbe riflettere per un attimo su quel che è avvenuto e sta avvenendo sul versante del fondamentalismo religioso: gran parte dei terroristi (potenziali o già in attività) si sono radicalizzati proprio in carcere, reagendo alla repressione con sempre maggior estremismo.
La proposta Fiano di fatto finirebbe per applicare questa linea d’azione (fallimentare) all’apologia di fascismo con risultati probabilmente non dissimili. La conseguenza sarebbe la concessione ai “nostalgici” (vecchi e, purtroppo, nuovi) di un argomento a sostegno delle loro tesi “sull’ipocrisia democratica” e, di conseguenza, la motivazione ulteriore per rimpiangere un ventennio che va valutato criticamente attraverso lo studio della storia e non attraverso la lettura delle sentenze. Contro lo sciocchezzaio dei fascisti tanto del secondo quanto del terzo millennio, tanto dichiarati quanto mimetizzati, (i più pericolosi) servono studi e ricerche accompagnate da una vasta e approfondita opera didattica, non codici e pandette (cose che peraltro già ci sono).
Quella che propone Fiano non è una prova di forza della democrazia (che, peraltro, tra la sua ragion d’essere dai valori che diventano norme e non dalle norme imposte come valori) ma solo una grande e autolesionistica manifestazione di debolezza da parte di uno stato che non riuscendo nella pratica quotidiana a confermare la validità delle scelte compiute oltre settant’anni fa a costo di grandi sacrifici, imboccherebbe la vecchia e comoda strada della criminalizzazione superficiale e generalizzata, muovendosi così nello stesso territorio di coloro che della democrazia vorrebbero fare a meno. La realtà è che questi nuovi fascisti (o fascismi) sono il frutto di carenze culturali strutturalmente insite nel sistema italiano. Uno Stato che prima per necessità e furbizia ha rinunciato a “liberarsi” degli epigoni dello stato fascista reinserendoli, per giunta in ruoli-chiave della macchina burocratica, e che poi ha deciso, per motivi politici, di limitare al minimo nelle scuole lo studio del ventennio, dell’antifascismo e della Resistenza, non poteva certo pensare di alzare delle robuste barriere immunitarie contro il contagio di idee così semplici nella loro rozzezza da poter essere percepite dalla “pancia” del Paese come l’unica risposta possibile alla complessità del mondo. In fondo siamo alla riproposizione in chiave politica nazionale di quello che avviene a livello internazionale con il fondamentalismo islamico: la risposta più diretta e violenta a una modernità a cui si vorrebbe anche partecipare ma dalla quale ci si sente esclusi e rifiutati. Se poi a questo quadro aggiungiamo le carenze dell’attuale sistema scolastico figlio di una lunga teoria di tagli lineari, il quadro è completo. Un classe politica lungimirante interverrebbe sul lungo periodo e cercherebbe di estirpare alla radice una ideologia che tanto male ha fatto all’Italia, ma evidentemente si preferisce portare avanti una proposta “Spot” per raccogliere qualche voto nell’immediato.