-di LUIGI TROIANI-
La cultura americana ci diede, con Disney, il papero Donald. La politica ci dà ora lo struzzo Donald, il presidente che, come ultimo regalo della sua serie davvero speciale, ha assunto la decisione criminogena sulla protezione dai terremoti, e sta per annunciare l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo globale sul clima.
Lo struzzo che siede alla Casa Bianca, in appena cinque mesi di governo e le dimissioni di un incredibile numero di collaboratori, ha messo in fila tante di quelle cattiverie contro i suoi concittadini più poveri e bisognosi (tagli a sanità, programmi extrascolastici per bambini, sussidi ai poveri, per citarne alcuni) che non ci si può scandalizzare per provvedimenti del genere, però occorre valutarne le conseguenze, anche perché la loro portata, e il fatto che gli effetti ricadano sull’intero pianeta, obbligano non solo alla critica ma alla mobilitazione. L’uomo ha gli ingredienti per essere non solo pericoloso ma dannoso, in quanto legato a interessi economici particolari, vendicativo, saccente, presuntuoso e ignorante al tempo stesso.
Sanno anche i sassi, soprattutto i sassi della faglia di Sant’Andrea, che in California non è in discussione il se, ma piuttosto il quando Big One chiederà all’America le vittime che gli spettano. La scienza non può conoscere l’istante nel quale il terremoto scocca nell’ipocentro, per propagarsi dall’epicentro sul territorio attraverso onde distruttive. Può però creare il sistema di comunicazione che avverta le popolazioni interessate, sulle onde sismiche in arrivo attraverso la propagazione. In queste cose, i secondi di allerta possono significare decine di migliaia di vite salvate. Conseguentemente non solo la California ma altri due stati, diverse città e sette università della costa orientale, collaborano col governo federale, per sviluppare, nell’ambito del Servizio Geologico nazionale Usgs, il sistema di sensori diffuso che, quando scoccasse la scintilla del terremoto, allarmerebbe il territorio a rischio. Nei preziosi secondi che l’onda sismica impiega per propagarsi, il segnale si diffonderebbe nell’intorno, giungendo agli interessati qualche istante prima dell’onda sismica: si salverebbe dalla catastrofe un alto numero di esseri umani. E’ stato calcolato che un sisma di magnitudo 7,8 che iniziasse a Coachella dentro la faglia di Sant’Andrea, impiegherebbe ben 60’’ per arrivare a Los Angeles. Nel terremoto di Napa del 2014, a sistema di sensori non ancora ultimato, San Francisco fu avvertita 8’’ prima dell’impatto con il sisma; i morti furono 57, per il crollo di un edificio.
Necessarie tante premesse per consentire al lettore di apprezzare la notizia che l’ineffabile inquilino della Casa Bianca, con evidente fair play e senso delle istituzioni verso gli elettori californiani che gli hanno stra-preferito Clinton, ha appena cancellato il contributo federale al progetto. Quegli 8,2 milioni di dollari sono ritenuti essenziali per consentirne avanzamento e conclusione. Sconteranno la decisione presidenziale non solo gli americani, ma tutti i paesi interessati a terremoti (per dirne uno, il nostro) che guardavano agli sviluppi del progetto con fiducia, per eventuali futuri usi in casa propria.
In quanto all’uscita da Cop 21, occorre ascoltare con attenzione cosa lo struzzo racconterà, perché la questione è un po’ più complicata di come Donald Ostrich sembra percepirla, mettendo la testa sotto la sabbia di pregiudizi e interessi particolari.
Un po’ di background è giocoforza, partendo dalla constatazione che gli Stati Uniti sono, con la Cina, il paese più inquinante al mondo, contando per almeno un quinto delle emissioni CO2 globali. Nel frattempo su clima e ambiente i cinesi sono diventati virtuosi, calcolando anche gli affari che fanno con le tecnologie verdi: domani a Bruxelles il primo ministro cinese e il vertice Ue ribadiranno l’impegno in Cop21.
Gli Usa restano quindi soli a combattere una battaglia di retroguardia che è peraltro doppiamente autolesionista per gli americani: perché fa loro soffrire gli effetti del rialzo dei limiti di emissione delle centrali a carbone e in generale del riscaldamento climatico, perché il nazionalistico e protezionistico America First impedirà a ricerca e industria americane di primeggiare nel settore delle tecnologie ambientali, lasciandone lo sviluppo a Cina, India e Ue.
Si sa che se Trump annunciasse il ritiro totale dall’impegno assunto da Obama (entro il 2025: -26, 28% dei gas serra americani del 2005), ciò impatterebbe per il 5% dello sforzo globale al quale la Terra si era impegnata con gli accordi di Parigi. E si sa anche che dagli impegni assunti in Cop 21 non si può uscire se non dopo il 2020 (va a capire se Obama accettando la clausola, pensasse alla lunghezza dei mandati presidenziali statunitensi!), a meno che non si intenda abbandonare la Convenzione Onu contro il cambiamento climatico, il che sembra francamente troppo per il Senato statunitense che dovrebbe acconsentire.
Grandi soggetti imprenditoriali come Exxon e General Electric sono dissenzienti, e delle posizioni trumpiane non vogliono sapere ben17 stati, guidati dai rilevanti California (1/4 del Pil Usa) e New York. Questi stati non solo rivendicano il buon diritto a non appiattirsi nella sabbia dello struzzo Donald, ma promettono di intensificare investimenti e ricerche in energie che non utilizzino derivati da fossili.
Il Commander in Chief Donald Ostrich dovrà anche tenere conto di quanto ha detto al Senato il suo segretario alla Difesa James Mattis: “Il global warming costituisce una sfida reale con un impatto sulla stabilità di zone del mondo in cui operano le nostre truppe”.
Testa fuori dalla sabbia, please, Mr. Donald O.!