-di GIULIA CLARIZIA-
30 maggio 1924: “Ha chiesto di parlare l’onorevole Matteotti. Ne ha la facoltà”. Così il presidente della Camera dei Deputati Alfredo Rocco cedeva la parola a Giacomo Matteotti, deputato del Partito Socialista Unitario. Quel giorno avrebbe pronunciato il suo ultimo discorso in parlamento, denunciando l’invalidità delle elezioni politiche tenutesi l’aprile precedente che avevano portato il listone fascista alla vittoria del 65% dei seggi parlamentari. Qualche giorno dopo sarebbe stato rapito, il suo corpo trovato a Riano il 16 agosto successivo. La storia è nota, come è noto che l’onorevole Matteotti è divenuto a ragione uno dei più importanti simboli dell’antifascismo.
L’Italia del 1924 era un luogo in cui pronunciare la verità in parlamento era un atto di coraggio. Tuttavia, se c’era una speranza per chi credeva nella libertà, questa risiedeva nel lottare contro il degenerare della situazione. Le elezioni dell’aprile 1924 avevano mostrato la natura del fascismo, se questa non era già precedentemente risultata chiara. Presa del potere per via ufficiale da un lato, violenza dall’altro. Non l’assalto ai palazzi istituzionali, ma un’infiltrazione più subdola tessendo alleanze con i centri di potere e instaurando paura nella coscienza dei suoi oppositori. Nello specifico caso delle elezioni di aprile le squadre fasciste impedirono fisicamente a svariate liste di opposizione di candidarsi e ad alcuni noti sostenitori delle sinistre di votare. Oltre a ciò, le elezioni erano regolate dalla legge elettorale nota come legge Acerbo, una proporzionale con voto di lista e premio di maggioranza che attribuiva il 65% al primo partito se questo avesse ottenuto il 25% dei voti.
Tutto questo fu denunciato da Giacomo Matteotti novantatré anni fa.
Non solo un atto di coraggio, ma una lucida analisi dei fatti, resa ancora più complessa dalle numerose interruzioni cui questa fu soggetta. Egli stesso ha sottolineato più volte l’intento di presentare i crudi fatti senza dare giudizi, misura ancora più efficace laddove la gravità delle azioni dei fascisti si commentava da sola:
“Giacomo Matteotti: Mi limito, dico, alla nuda e cruda esposizione di alcuni fatti. Ma se per tale forma di esposizione domando il compatimento dell’Assemblea… (Rumori) non comprendo come i fatti senza aggettivi e senza ingiurie possano sollevare urla e rumori. Dicevo dunque che ai candidati non fu lasciata nessuna libertà di esporre liberamente il loro pensiero in contraddittorio con quello del Governo fascista e accennavo al fatto dell’onorevole Gonzales, accennavo al fatto dell’onorevole Bentini a Napoli, alla conferenza che doveva tenere il capo dell’opposizione costituzionale, l’onorevole Amendola 8, e che fu impedita… (Oh, oh! – Rumori)
Voci: a destra: “Ma che costituzionale! Sovversivo come voi! Siete d’accordo tutti!”[1]
Pur riportando nomi ed esempi concreti in cui le bande fasciste impedirono con la violenza il corretto svolgimento della campagna elettorale, della procedura di candidatura delle liste e del voto stesso, Matteotti fu barbaramente contestato. Dall’aula parlamentare arrivavano continuamente negazioni, offese, provocazioni. Risposte da talk show di basso livello, dove però la posta in gioco era la libertà di un paese.
Se Matteotti davvero avesse davvero inventato quanto denunciato probabilmente non avremmo conosciuto la dittatura e lui non sarebbe stato eliminato. Uccidendolo hanno solo confermato ciò che era già evidente. Solo chi ha paura di affrontare la realtà tappa la bocca del proprio avversario. Per quanto possa valere, Matteotti oggi è un eroe, nessuno ricorda nome e volto di chi l’ha ucciso, se non quelli della dittatura, che viene qui ricordata solo per esprimere disgusto.
[1] Dal resoconto stenografico della seduta della Camera dei Deputati, 30 maggio 1924.