-di MAGDA LEKIASHVILI-
Quale Europa? La domanda che si ponevano i padri fondatori dell’Europa ritorna attuale ancora oggi. L’Europa non può più contare su alleati storici come gli Usa, diceva due giorni fa la cancelliere tedesca Angela Merkel. È arrivato il momento che l’Unioni lotti per il proprio destino, con le sue sole forze. Per parlare del futuro europeo e, soprattutto, per ricercare ancoraggi nel passato, si è riunito un gruppo di studiosi al Centro Studi Americani. Grazie alla Fondazione Pietro Nenni che in collaborazione con la Buozzi, la Turati e l’Istituto Hirshman- Colorni, ha ricordato il contributo di Eugenio Colorni nella storia dell’integrazione europea. Nato il 22 aprile del 1909 in una famiglia ebraica mantovana, Colorni fu non solo uno dei padri fondatori del pensiero federalista italiano ed europeo cresciuto durante la Seconda Guerra Mondiale, ma anche un intellettuale e filosofo. Ha deciso di fare politica semplicemente perché i tempi lo esigevano. Il suo spirito antifascista e l’ambiente bellico furono condizioni determinanti per il filosofo Colorni per diventare un politico. E sicuramente sarebbe tornato filosofo se non fosse stato ucciso.
Insieme ad Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi (tutti e tre al confino come oppositori del regime fascista) elaborò la nuova proposta federale. Il federalismo europeo rappresentò per loro la nuova linea di separazione tra progresso e reazione, il superamento delle vecchie e fallimentari ideologie politiche. E piuttosto sembrò l’unica soluzione istituzionale in grado di dare la pace al continente europeo. Tale novità venne spiegata nel Manifesto di Ventotene per un’Europa Libera e Unita (1941). Nel documento viene sottolineato come i principi che nacquero dalla Società delle Nazioni in seguito alla prima guerra mondiale si fossero persi, lasciando spazio al nazionalismo imperialista delle potenze. Viene sempre ricordato che i nazionalismi in ogni caso sono antipatriottici. I tre intellettuali anticiparono la caduta dei poteri totalitari e si augurarono che la pace portasse al superamento della divisione dell’Europa in numerosi e litigiosi stati nazionali.
“Gli spiriti sono giù ora molto meglio disposti che in passato ad una riorganizzazione federale dell’Europa. Con la propaganda e con l’azione, cercando di stabilire in tutti i modi accordi e legami tra i movimenti simili che nei vari paesi si vanno certamente formando, occorre fin d’ora gettare le fondamenta di un movimento che sappia mobilitare tutte le forze per far sorgere il nuovo organismo, che sarà la creazione più grandiosa e più innovatrice sorta da secoli in Europa; per costituire un largo stato federale, il quale disponga di una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali, elimini decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari, abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli stati federali le sue deliberazioni, dirette a mantenere un ordine comune, pur lasciando agli Stati stessi l’autonomia che consente una plastica articolazione e lo sviluppo della vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli”, dice il Manifesto. Solo attraverso queste scelte, secondo Colorni e i suoi compagni, sarebbe stato possibile creare le condizioni per l’Europa libera e unita.
Nove anni dopo, Robert Shuman, considerato “l’architetto” del progetto di integrazione europea, elaborò il piano (1950) con il quale propose il controllo congiunto della produzione di carbone e acciaio, ossia i principali materiali per l’industria bellica al fine di limitare la possibilità di un nuovo conflitto. Era previsto che questa proposta costituisse il primo nucleo concreto di una Federazione Europea indispensabile al mantenimento della pace. Proprio come pensava e immaginava Eugenio Colorni.