È stato uno tra i volti più noti della televisione di stato, simbolo di un giornalismo misurato e rispettoso così lontano dall’arrembante aggressività della “comunicazione social” spesso sguaiata, maleducata e, dal punto di vista linguistico, volgare. Alberto La Volpe era lontano da questi modi e da questi mondi. Un signore perbene e compito. Si è spento a ottantatré anni (ne avrebbe compiuti 84 il prossimo 9 ottobre). Passione politica radicata nel solco del socialismo, ha attraversato da protagonista la storia della Rai, prima tra gli animatori di “Speciale Tg1”, poi fondatore, insieme a Sandro Curzi e Biagio Agnes del telegiornale della terza rete, infine direttore del Tg2, carica che ereditò da un altro grandissimo e indimenticato giornalista, Antonio Ghirelli (ambedue di nascita napoletana, continuatori di una antica e grande tradizione professionale).
Un giornalismo “militante” il suo, nella definizione nobile che all’aggettivo si può dare, cioè profondamente impegnato nello sforzo di raccontare la realtà provando ad andare ben oltre le apparenze. Ne fanno fede le “lezioni di mafia” organizzate insieme a Giovanni Falcone, il giudice ucciso con la moglie e la scorta a Capaci; e poi il libro scritto con l’attuale presidente del Senato, Pietro Grasso, “per non morire di mafia”. Ma sensibile a battaglie più lontane dalla nostra realtà nazionale, ad esempio quella dei palestinesi per una patria propria. Si è immerso nella vita civile senza risparmiarsi, come parlamentare, sottosegretario (nei governi Prodi e D’Alema) e sindaco di Bastia Umbra. Questo blog lo ricorda con rispetto e affetto.