Gli immigrati devono adeguarsi ai valori civili e giuridici della società italiana che li ospita. Nulla di straordinariamente rivoluzionario ma questa sentenza della Corte di Cassazione verrà inevitabilmente utilizzata in chiave “sovranista” (ma si potrebbero utilizzare anche altri termini) da Salvini o da personaggi come quelli di Forza Nuova che non hanno perso tempo per utilizzare la faccia e le parole di Debora Serracchiani per sostenere in un manifesto che lo stupro è un reato più grave se commesso da persone che non sono nate nel nostro Paese e, di conseguenza, meno grave se a commetterlo sono gli italiani. Ecco perché è utile chiarire il contesto pratico e giuridico in cui la sentenza si inserisce.
In sostanza tutto nasce dal ricorso del signor Jatinder che un po’ di tempo fa uscì di casa portandosi dietro un coltello. Fermato, ovviamente venne multato perché la nostra legge evidentemente vieta una simile consuetudine (il che non impedisce a molti connazionali di praticarla ugualmente in spregio delle norme). Jatinder, di etnia sikh, si difese dicendo che quello era un oggetto sacro al pari del turbante. Evidentemente, nessuno sollevò questioni per il turbante, ma la vicenda del coltello è finito in tribunale e in Cassazione. Jatinder, infatti, chiedeva che gli venisse riconosciuto l’intento religioso e cancellata la multa. La Corte ha riconosciuto le ragioni religiose ma, per quanto riguarda il coltello ha spiegato che il rispetto di regole sacre (per chi professa quella fede) non possono essere prevalenti sulle leggi del paese che ospita l’immigrato, che valgono per tutti e sono finalizzate a garantire l’ordine pubblico e la sicurezza collettiva.
E così la Cassazione ha spiegato che chi sceglie di di vivere qui da noi deve rispettare i nostri principi e i nostri valori anche se sono diversi da quelli del paese di origine, una diversità nota all’ospite. Conseguenza: “Non è tollerabile che l’attaccamento ai propri valori, seppure leciti secondo le leggi vigenti nel paese di provenienza, porti alla violazione cosciente di quelli della società ospitante”.
E continua la corte: “In una società multietnica la convivenza tra soggetti di etnia diversa richiede necessariamente l’identificazione di un nucleo comune in cui immigrati e società di accoglienza si debbono riconoscere. Se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 della Costituzione che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante”. “La società multietnica – continua inoltre la sentenza- è una necessità, ma non può portare alla formazione di arcipelaghi culturali configgenti, a seconda delle etnie che la compongono, ostandovi l’unicità del tessuto culturale e giuridico del nostro Paese che individua la sicurezza pubblica come un bene da tutelare e, a tal fine, pone il divieto del porto di armi e di oggetti atti ad offendere”. Insomma, la sentenza non riguarda la libertà religiosa, pienamente riconosciuta e accettata, ma solo quelle abitudini che possono confliggere con le leggi poste a tutela della pacifica coesistenza.